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Costruzione del Santuario
Usciamo per un momento dal groviglio dei problemi tecnico-amministrativi per riposarci in qualcosa di più spirituale e consolante: la posa della prima pietra del Santuario.
Il Provinciale, p. Battisti, l’aveva tenacemente perseguita come evento che riaffermava la nostra volontà di erigere il Tempio, di rompere gli indugi e di dare una spinta all’iter burocratico.
1 - Il 31 maggio 1958 sul colle s. Leonardo erano presenti: gli studenti della Scuola Apostolica, i confratelli delle Stimate e di Cadellara, altri Stimmatini, sacerdoti diocesani, autorità e molta, molta gente. (Doc. 16).
Voglio ricordare segnatamente p. Cervini, venuto appositamente da Roma e p. Battisti che, eletto da alcuni giorni Vicario generale, rimandò la partenza per essere presente alla cerimonia. Due protagonisti convinti e attivi nell’opera di ricostruzione del Santuario.
Il sole verso il tramonto di una giornata luminosa, aveva riflessi d’oro. Il panorama limpido, l’aria mite, la festa nei cuori. Si sentiva, quasi fisica, la presenza dell’Immacolata.
Ma lascio la parola al cronista di s. Leonardo: «Il 21 maggio, alcuni operai dell’impresa Andreotti iniziano il lavoro per sistemare il piazzale ove si svolgerà la cerimonia della Prima Pietra».
Il 31 maggio: «Giorno memorabile per l’avvenimento straordinario: S.E. mons. Urbani benedice la prima pietra del Santuario dedicato all’Immacolata di Lourdes. Alle 17.30 s. Rosario sul piazzale e laudi sacre alla Vergine. Frattanto alle 18.00 il clero incontra l’Arcivescovo che è accompagnato da mons. Falzoni. Inizia subito la cerimonia liturgica che riesce molto bene. Lo svolgimento è commentato da p. G. Reverberi che legge la pergamena su cui pongono la firma l’Arcivescovo e le autorità militari e civili della Provincia e del Comune presenti al completo, manca solamente il Sindaco che, ammalato, si è fatto rappresentare. La pergamena è chiusa entro la pietra primaria. (Doc. 17).
Infine l’Arcivescovo pronunzia un elevato discorso nel quale pone in rilievo le coincidenze e le circostanze dello storico avvenimento odierno. Ha dedicato parole di lode ai "buoni padri Stimmatini" e ricorda l’anima grande di p. Fantozzi che ideò e caldeggiò una sì magnifica impresa, e invitò tutti i presenti a prestare il loro concorso per l’opera grande che sta per sorgere. Da ultimo prende la parola il p. Provinciale che a linee essenziali ricorda concretamente tutto l’insieme di pratiche burocratiche e tutte le fatiche che si resero necessarie prima di arrivare alla posa della prima pietra, ed insieme rivolge un caldo ringraziamento a tutte le autorità, a tutte le persone che furono lo strumento umano dell’opera del Signore. Al Signore e alla Vergine il nostro più vivo ringraziamento perché ci hanno concesso un giorno sì grande. Alle autorità viene poi offerto un rinfresco, preparato da fratel Flaborea». (Bert. 1958, p. 60).
Il breve discorso di mons. Urbani fu veramente ispirato e splendido, suscitando commozione e diletto. Ricordo che iniziò con le parole: «In questo dolce vespero...». E ricordava: «L’architetto militare che costruì questa fortificazione, non pensava mai che da strumento di guerra sarebbe divenuto un giorno luogo di preghiera e di pace».
2. Alla medesima pagina del Bertoniano, il cronista nota di sfuggita: «Iniziano i lavori di demolizione del forte di s. Leonardo». (1958, p. 60). Conserviamo ancora l’originale del contratto d’appalto con l’impresa Recchia, con domicilio in Verona, via Siracusa 19, firmato il 16 giugno 1958, appunto per la demolizione del forte san Leonardo.
L’impresa Andreotti, infatti, non essendo specializzata in questo settore propose di fare un contratto a parte con altra impresa, limitatamente alla demolizione delle strutture.
Naturalmente, secondo il progetto dell’architetto, lasciando intatte le parti che dovevano essere conglobate nel nuovo edificio.
Non fu cosa semplice. Il forte era stato costruito con blocchi di pietra o di tufo ben squadrati, e alcune parti erano in calcestruzzo, impastato con pietrame e calce, ma così amalgamato e resistente che anche i martelli pneumatici faticavano a inciderlo e romperlo. Il lavoro era duro e lento.
Venne deciso di usare le mine, per affrettare i tempi, risparmiare energie e denaro. L’ing. Loredan si incaricò di trovare un minatore provetto e di ottenere la necessaria autorizzazione per usare le mine. Le cose migliorarono. Le mine, di potenza limitata, e fatte brillare in "ore morte", sventrarono il forte e accelerarono i lavori. Particolarmente dura risultò l’operazione verso nord, dove ora esiste la grotta della Madonna di Lourdes. Vi erano murature che si elevavano a vari livelli e servivano di base ai cannoni, dell’imperatore Ferdinando!
I lavoratori furono forse "troppo zelanti" e andarono al di là delle intenzioni dell’architetto. La cosa fu notata in città e si levarono delle voci di critica. La stessa Soprintendenza per mezzo del primo responsabile, prof. Piero Gazzola, inviò una nota di protesta. Rispose a nome nostro l’ing. Loredan, come direttore dei lavori, assicurando che sarebbero state immediatamente restituite le parti demolite erroneamente.
Una cosa mi spiacque allora, e mi spiace anche presentemente. Le celle oscure a piano terra – a livello dell’odierna cripta – furono tutte manomesse, nessuna venne conservata nello stato originario. È un peccato! Perché non possiamo rivivere l’esperienza piena, di coloro che furono prigionieri in quelle celle, qualcuno anche in attesa della fucilazione. Tant’è! Erano così accaniti quei demolitori, che sembravano i parigini nella distruzione della Bastiglia!
3. - In quello scorcio di tempo successero alcuni avvenimenti degni di essere notati.
31 maggio 1958, giorno della posa della prima pietra, moriva in Thailandia p. Egidio Airaghi, mio compagno di ordinazione. La notizia assai dolorosa, ci fu comunicata il giorno dopo.
8 maggio 1958, p. Gilberto Fini veniva eletto superiore generale.
19 giugno 1958, p. Battisti partiva definitivamente per Roma.
2 luglio 1958, arrivava a Verona p. Alessio De Marchi, nuovo superiore provinciale. Io sono uno dei consiglieri provinciali.
30 agosto 1958, p. Ignazio Bonetti, superiore locale a s. Leonardo.
14 - 21 settembre 1958, Congresso eucaristico a Verona, con la partecipazione del card. Giuseppe Roncalli.
28 ottobre 1958, elezione del card. Roncalli a Papa con il nome di Giovanni XXIII.
11 novembre 1958, partenza di mons. Urbani per Venezia, eletto Patriarca.
18 gennaio 1959, Mons. Giuseppe Carraro nuovo vescovo di Verona, faceva il suo ingresso in diocesi.
Mons. Carraro fu sempre favorevole all’erezione del Santuario, e darà anzi presto un contributo positivo, prevedendo il bene che avrebbe apportato alla Chiesa, non soltanto a quella di Verona.
Ma le cose ristagnavano.
Man mano che ci si allontanava dal termine della guerra, non solo ne diminuiva il ricordo, ma anche i contributi destinati alla ricostruzione venivano assottigliandosi. Basta pensare che l’importo di £ 34.151.000, riconosciuto come danno di guerra subìto dal Santuario, venne scaglionato in quattro tempi successivi e suddiviso in altrettanti lotti di lavori. (Doc. 18).
Ecco lo specchietto.
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1° lotto – 26.02.1958 – £ 8.000.000–
2° lotto – 30.06.1959 – £ 10.000.000–
3° lotto – 16.12.1959 – £ 10.000.000–
4° lotto – 31.01.1961 – £ 5.151.000Fa male pensare, ancora una volta, allo spreco di denaro, alla perdita di tempo, al cumulo di carta!
L’impresa non aveva possibilità e non voleva "star fuori" con i pagamenti, soprattutto dopo la gaffe presa nella ricostruzione della Scuola Apostolica. E noi Stimmatini non potevamo disporre certo di molti soldi... Né potevamo contare su eventuale vendita di immobili, perché non ne possedevamo più. La somma prevista per l’erezione del Santuario (al grezzo) – secondo una stima dell’ing. Loredan – si aggirava sui 50.000.000. Che fare?
Bisognava, come tutti coloro che intraprendono simili opere, chiedere l’elemosina e aver fiducia nella Provvidenza. Si trattava, in definitiva, di un Santuario dedicato alla Madonna! E non avevamo sperimentato l’intervento di Maria nell’itinerario finora percorso?
In una occasione, fummo messi alla prova. P. Di Giusto – quand’era Provinciale p. Battisti – mi scrisse che avremmo potuto avere da parte dello Stato tutto l’importo previsto, se avessimo consegnato brevi manu, al nipote del Ministro dei Lavori Pubblici la somma di £ 5.000.000. Una piccola tangentopoli. P. Battisti e tutto il nostro Consiglio rigettò sdegnosamente la proposta, anche a costo di attendere a lungo! Sia che la proposta venisse davvero dal nipote del Ministro, sia che fosse una finzione del funzionario per intascarsi la somma, la cosa era inaccettabile sotto il profilo morale e gettava un’ombra sulla Madonna stessa e sul nascente Santuario.
I lavori veri e propri per la costruzione del Santuario presero l’avvio il 1° luglio 1959. Così risulta dal contratto d’appalto con l’impresa e dal relativo verbale di consegna dei lavori, che porta la stessa data. (Doc. 19).
Lo Stato aveva stanziato anche la somma per il secondo lotto, e nutrivamo speranza di ottenere l’approvazione del terzo lotto prima della fine dell’anno. Una prospettiva sufficientemente serena anche per l’Impresa che iniziava i lavori.
Il nuovo cronista di s. Leonardo, in data 1° maggio 1959, scrive: «Dopo quasi un anno dalla posa della prima pietra, si vedono finalmente segni di vita al forte s. Leonardo per l’erigendo Santuario della Madonna. Superate numerose difficoltà l’impresa dà inizio ai lavori». (Echi di vita stimmatina, 1959, p. 49). Anche il nuovo Provinciale, p. Alessio De Marchi, in una relazione inviata alla Curia generale, all’inizio dell’anno 1960, confermava il fatto: «Intanto venivano pure ripresi i lavori per l’erigendo Santuario della Madonna di Lourdes che dovrà sorgere accanto alla Scuola Apostolica, e già si prospetta la sagoma di quello che sarà, si spera in un futuro abbastanza prossimo, la nuova chiesa ufficiale della Madonna di Lourdes, in Verona». (Bert. 1960, p. 462).
L’impresa Andreotti quando si rimise al lavoro, portò i lavori del Santuario fino al tetto, cioè alla cupola, eseguendo le opere essenziali. Le parti accessorie e ornamentali furono rimandate a tempi successivi, e vennero eseguite spesso a singhiozzo.
4. - Non mi fermerò sui particolari costruttivi e sui tempi e modi della realizzazione del Santuario. Dirò solo qualche cosa che credo non inutile.
In fase esecutiva, l’architetto tenne conto delle osservazioni fatte presenti dalle Autorità comunali e dalla Soprintendenza. Soltanto, disse di non poter abbassare di molto l’altezza dell’edificio, perché ne sarebbe stata sacrificata la cripta, a cui teneva assai.
Scelse anche per il Santuario i materiali tradizionali, perché si saldavano meglio con le vecchie strutture del forte.
Per ricoprire la cupola escluse categoricamente ogni specie di materiale sintetico, offerto dalla tecnica moderna. Venne scelto il rame, materiale collaudato da secoli. Il lavoro fu affidato ad una ditta di Trento, specializzata nel settore, ditta che aveva da poco eseguito lavori in rame nella copertura del duomo in quella città.
Più lungo fu il discorso quando si trattò di scegliere il sistema di riscaldamento. L’architetto, per motivi estetici, proponeva di usare la tecnica delle tubazioni sotto il pavimento. Altri, tra cui il superiore generale p. Martinis, la escludevano, a motivo degli inconvenienti che avrebbe causato. Cioè si sarebbero formati dei vortici di aria, all’altezza della testa delle persone, cosa noiosa e anche dannosa. Se ne discusse a lungo, si interrogarono dei tecnici, si visitarono appartamenti dotati di quegli impianti. Nessuna conferma degli inconvenienti temuti. Perciò fu adottato il sistema che tanto piaceva all’esteta architetto Rossi de’ Paoli.
Dopo alcuni anni, invece, p. Mario Arduini si vide costretto a mutare l’impianto e a tornare ai vecchi radiatori.
Ricordo un altro ritocco fatto al disegno, operato in fase esecutiva, relativo al soffitto della cripta. L’architetto l’aveva previsto in materiale tradizionale: ma così la volta appariva troppo pesante, data l’altezza limitata del locale. L’ing. Giulio Ceruti, titolare dell’impresa, propose di adottare una forma più semplice, più rapida da eseguire e meno costosa. Si offrì di approntare il relativo progetto e di sottoporlo al giudizio di Rossi de’ Paoli.
L’ingegnere si appartò in una abitazione solitaria di campagna, lontano da tutti. Studiò, fece calcoli e dopo tre giorni riapparve con il progetto esecutivo bell’e pronto. L’architetto ne rimase veramente colpito, lo ritenne più espressivo del proprio e lo scelse nella esecuzione dell’ambiente.
Così nacque la cripta, come la possediamo attualmente, frutto congiunto dell’intuizione di un ingegnere specializzato in cementi armati, e della modestia di un architetto che sapeva accogliere le idee degli altri, quando le trovava giuste e intelligenti.
5. - Il solito cronista di s. Leonardo, nel mese di ottobre 1960 (Bert. p. 292) nota: «Con rammarico assistiamo allo smantellamento dell’attrezzatura e chiusura del cantiere dell’erigendo Santuario. I lavori riprenderanno quando la Provvidenza vorrà».
L’impresa, sia pur a malincuore, si vide costretta a chiudere il cantiere. La continuazione dei lavori era incerta per mancanza di mezzi; e d’altra parte ormai la struttura muraria del Santuario era completata. Un’impresa che aveva la sede lontano, a Cremona, attrezzata per lavori consistenti, non poteva prendersi il lusso di tenere aperto un cantiere dove il lavoro era oramai limitato e i tempi di esecuzione, incerti.
Lo Stato doveva finanziare ancora il 4° ed ultimo lotto di £ 5.151.000, cifra modesta e imprevedibile, quanto all’erogazione.
Non potevamo assolutamente contare sulle nostre possibilità economiche perché la Provincia nel bilancio annuale chiudeva il conto sempre in passivo. Ciò durò, più o meno, fino a quando venimmo in possesso dell’eredità "Turco", cioè fino agli anni Settanta.
Il Provinciale, p. Alessio, sposata con il suo solito entusiasmo la causa, ipotizzò di chiedere un "anticipo" alla Curia generalizia. I motivi che portava erano limpidi e convincenti. Protraendo l’esecuzione dei lavori, il costo sarebbe andato sempre aumentando. Inoltre più presto si finiva il Santuario, più presto sarebbero arrivate anche le offerte da parte dei fedeli.
La proposta-richiesta, presentata alla Curia generalizia, almeno a titolo esplorativo, non ebbe accoglienza favorevole. P. Costantino Tognoni, consigliere per l’economia ed economo generale, disse che poggiarsi sulla possibilità di future offerte, era cosa aleatoria. Quindi non si doveva contrarre alcun debito, senza essere sicuri di poterlo saldare alla scadenza prevista. Egli aveva molta paura dei debiti, avendone fatta esperienza in Brasile. Che poi si spenda di più attendendo e procrastinando i lavori, era evidente, ma tale è la condizione di tutti i poveri. Essi spendono quando possono, quello che possono – e così pagano di più. Noi eravamo poveri, perciò dovevamo percorrere questa strada.
6. - L’atto di stendere la mano per arrivare al cuore dei fedeli nel nome della Madonna Immacolata, l’avevamo fatto, prima di allora, lo facemmo nella presente penosa congiuntura, lo faremo anche dopo. Del resto era una eredità – non scritta – lasciataci da p. Fantozzi, soprattutto col suo esempio di mendicante, talora anche importuno, usato per poter erigere il primo Santuario della Madonna in piazza Cittadella.
Dapprima si pensò di presentare al Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi – tramite l’on. Gonella – un promemoria sul costruendo Santuario, con l’invito di voler accettare l’Alto Patronato sull’iniziativa in corso.
Ricordo di aver consegnato personalmente il documento, insieme all’avv. Gozzi e a p. Di Giusto, all’on. Gonella, allora Ministro di Grazia e Giustizia. Gli dicemmo che egli era la persona più indicata presso il Presidente Gronchi, come veronese, cristiano convinto e uomo politico assai stimato. Il Ministro ci fece buona accoglienza, lesse il promemoria e promise di fare quanto possibile. (Doc. 20).
P. Alessio perorò la causa del Santuario anche presso l’on. Flaminio Piccoli, venuto a s. Leonardo per il 50° di sacerdozio di Mons. Carlo De Ferrari. (Echi, 1960, p. 114).
Così pure presso l’on. Benigno Zaccagnini, incontrandolo a Roma, in un "colloquio lungo e fruttuoso" il 19 febbraio 1961. (Bert. 1962, p. 36).
Più fruttuosa, è stata la sua perorazione presso l’onorevole Oscar Scalfaro, allora sottosegretario all’Interno. Infatti dietro il di lui interessamento, venne concesso dal Ministero un contributo per l’erezione del Santuario dell’Immacolata. Dopo l’inaugurazione del Tempio, l’onorevole Scalfaro venne invitato a tenere una "conferenza" nella cripta del Santuario – presente il vescovo mons. Carraro – come segno di stima verso il credente, il grande cristiano e il devoto della Madonna, ma anche quale doveroso gesto di riconoscenza. (Echi, 1969, p. 12).
Quando il Santuario stava per essere inaugurato – dietro consiglio di p. Marchesini – aprimmo un conto corrente postale intestato al Santuario stesso. Avemmo modo di usarlo subito. Infatti, tramite una agenzia di Torino, inviammo una lettera a qualche migliaio di facoltosi della città e provincia. Lettera che conteneva un depliant, insieme all’invito di dare una generosa oblazione a favore del Santuario che stava per essere aperto ai fedeli. Non fu un successo; raccogliemmo due milioni all’incirca.
Anche p. Alberto Tambalo, appena arrivato a san Leonardo, si mise all’opera. Ne fa fede l’arguto cronista: «P. Tambalo ha già cominciato a risvegliare i vecchi e nuovi benefattori, ricevendo in risposta tanti "deceduto" e "sconosciuto al portalettere", ma anche qualche offerta per grazie straordinarie ricevute». (Echi, 1963, p. 178). Ma di questo, satis! Non sappia la tua destra, ciò che fa la tua sinistra!
7. - La decisione dell’Impresa Andreotti di cessare la collaborazione causò dispiacere anche a noi. Oltre ai rapporti di stima per la capacità e serietà con cui eseguiva i lavori, erano nati rapporti personali di simpatia e di vera collaborazione.
Tuttavia l’impresa che accettò di subentrare nella conduzione e conclusione dei lavori, l’avevamo bell’e pronta: si chiamava "Impresa Farinelli", con sede in Verona, via s. Marco 17. Questa impresa stava allora eseguendo dei lavori per conto della casa delle Stimate, con piena soddisfazione di tutti, tanto che era considerata l’impresa di fiducia della comunità. Non grande, a conduzione familiare, con sede in loco, poteva disporre di operai per il Santuario quando, e nella misura che occorrevano. Era adatta alla situazione. Infatti, le strutture murarie del Santuario già esistevano; mancavano gli intonaci, le rifiniture, gli infissi, i pluviali, l’impianto dell’acqua, di riscaldamento, ecc.
Due fratelli conducevano l’Impresa Farinelli: il geometra Luigi che seguiva i lavori, e il geom. Villibrordo che stava prevalentemente in ufficio. Tutti e due avevano contatti continui con l’ing. Loredan, il quale sentiva adesso accresciuta la propria responsabilità, anche perché l’esecuzione delle rifiniture dell’edificio richiedeva una continua e oculata presenza.
I lavori si protrassero, praticamente, dall’inizio del 1961 al 13 giugno 1964, giorno dell’inaugurazione del Santuario e proseguirono anche dopo, per la sistemazione del piazzale, le vie d’accesso, ecc. I dirigenti dell’Impresa Farinelli e le maestranze lavorarono con passione e competenza, tanto che non rimpiangemmo più l’assenza dell’Impresa Andreotti.
Nel frattempo arrivò da Venezia il finanziamento del 4° ed ultimo lotto, dopo estenuanti attese ed umiliazioni. Con questa somma, con le offerte provenienti dai benefattori, con il contributo, sia pur ridotto, della nostra Provincia, potemmo portare avanti i lavori. Così, camminammo a piccoli passi verso il sospirato completamento.