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Positivo avvio
A questo punto, storicamente, gli avvenimenti che riguardano la Scuola Apostolica e il Santuario procedono insieme, quasi paralleli. Cercherò di raccontarli con la maggior chiarezza che mi sarà possibile.
Acquisto del terreno
Riuscì più semplice del previsto. I fratelli Gerard possedevano una vasta area sul colle s. Leonardo, che confinava verso sud con il terreno demaniale del forte, e più in basso, con la proprietà di don Ottavio Dall’Acqua. Venne chiesta ai fratelli Gerard una striscia del loro terreno che andava dalla stradina militare a est fino alla via San Leonardo, la famosa "Lasagna". I contatti con i venditori furono tenuti dall’ing. Loredan e dall’avvocato Ederle, a nome e per conto dell’Istituto. I fratelli Gerard, dopo la morte del genitore, pensavano di dividere la proprietà, e quindi non fecero difficoltà ad aderire.
Più difficile fu riunire tutti i comproprietari per l’atto di vendita, perché alcuni abitavano fuori Verona, anche lontano. La firma del rogito avvenne il 16 giugno 1950: l’area acquistata misura mq 21.400. (Doc. 4).
Donazione Dall’Acqua
D. Ottavio dall’Acqua, sacerdote diocesano, aveva ottenuto il diploma di maestro elementare, come in uso a quei tempi. Dopo alcuni anni di insegnamento, si trasferì a Valdobbiadene, nel trevigiano, con il grado di direttore didattico. Conservava un ottimo ricordo di quelli anni, per la stima e simpatia con cui veniva ricambiato da insegnanti e famiglie dei ragazzi.
Quando viveva a Valdobbiadene (TV), fece conoscenza con un nostro confratello, p. Giorgio Zanghellini, della comunità di Udine. Non so in quale circostanza.
Finito l’incarico e già pensionato, volle tornare a Verona, dove acquistò una casetta, con terreno adiacente, in Via San Leonardo (Lasagna) e lì viveva ritirato, con l’assistenza di una nipote, di nome Maria. Coltivava l’orticello, i fiori, gli alberi da frutta della sua proprietà. Quando p. Zanghellini divenne superiore della Scuola Apostolica della ss. Trinità, si ricordò di lui, lo andò a visitare e gli propose di fare un po’ di scuola ai nostri aspiranti. Egli accettò di buon grado, e gli venne offerto l’insegnamento dell’italiano e del latino nel ginnasio - allora medie e superiori - e in seguito, anche la matematica.
Nessuna difficoltà per il titolo di studio, perché la nostra scuola era propriamente privata, come del resto quella di quasi tutti i seminari italiani.
D. Ottavio era buono, sempre pronto e puntuale, voleva bene a noi ragazzi e insieme ci rispettava. Non era un’aquila d’ingegno; si notavano in lui larghe lacune di cultura, privo com’era di una preparazione specifica. In compenso ci faceva imparare a memoria, ogni anno, da 1500 a 1700 versi di poesia italiana. Aveva una confessata predilezione per il Pascoli. La mia classe lo ebbe insegnante nel ginnasio, per quattro anni.
S’affezionò molto a noi Stimmatini e fu ripagato con pari affezione da parte nostra. Anche finito il suo impegno di insegnante, era invitato e interveniva a quasi tutte le feste e occasioni felici della nostra comunità.
Non faceva mistero della sua intenzione di lasciare tutta la sua proprietà al nostro Istituto, anzi - mi pare - aveva consegnato il suo testamento olografo al p. Provinciale. Egli aveva un fratello sacerdote, d. Ettore, e tre nipoti femmine: una gestiva una tabaccheria presso san Pietro Incarnario, l’altra, vedova e senza figli, abitava a Volta Mantovana, la terza, Maria, l’aveva seguito a Valdobbiadene e ora viveva con lui come "collaboratrice familiare". Non aveva quindi obblighi se non con quest’ultima, la quale era perfettamente al corrente della volontà dello zio e pienamente consenziente, perché anch’essa, per riflesso dello zio prete, era molto affezionata agli Stimmatini.
P. Fantozzi, p. Cervini ed io, parlavamo spesso con lui del Santuario e della Scuola Apostolica, che dovevano sorgere proprio vicino alla sua abitazione, prima a santa Sofia e poi a san Leonardo. D. Ottavio era felice e sosteneva con calore l’idea. Quando prospettammo l’esigenza di occupare subito parte del suo terreno per avviare la costruzione della Scuola Apostolica, e chiedemmo se fosse disposto a cederla, egli propose spontaneamente di darci tutta la sua proprietà, con atto di donazione. Naturalmente con delle garanzie che vennero date in un documento a parte. Consistevano nella riserva del diritto di abitazione per sé e la nipote, vita natural durante, e un versamento di un contributo mensile alla nipote fino alla di lei morte. Felici e riconoscenti furono gli Stimmatini, e felici pure la nipote e lo zio prete. In tal modo, anche se l’acquisto del forte era ancora di là da venire, si poteva dar corso alla costruzione almeno della Scuola Apostolica: 30 marzo 1949. (Doc. 5).
La morte di don Ottavio Dall’Acqua
Ed ora una parola sulla fine dolorosa di d. Ottavio e della nipote Maria. Lo zio attendeva con cuore aperto gli Stimmatini, non solo per il bene che voleva loro, ma anche perché sperava da essi, o per loro mezzo, un aiuto morale per la nipote. Essa passava periodi di salute discretamente buoni, altri invece di depressione. Era sotto cura di medici, ma con poco risultato. D. Ottavio e sua nipote attendevano la venuta degli Stimmatini a san Leonardo perché era stato promesso che le suore, le quali prestavano servizio alla Scuola Apostolica, sarebbero state ospitate nella loro casetta. Di lì poi, ogni mattina, si sarebbero recate al seminario per i loro servizi, ritornandovi alla sera. Cosa che di fatto avvenne nei primi tempi dell’insediamento.
L’anno 1951, il 29 luglio, moriva santamente d. Ottavio Dall’Acqua. Fu un dolore per tutti. Per noi venne a mancare una figura caratteristica di educatore ed insieme un insigne benefattore. il Signore lo abbia in gloria! La sua salma venne tumulata nella nostra tomba nel cimitero monumentale con attestazione di affetto e séguito di preghiere, come per un confratello.
Questa perdita influì assai nell’animo della nipote Maria, aggravando il suo stato depressivo. Accanto a lei si era stabilita la sorella Vittoria, quella che risiedeva a Volta Mantovana.
La situazione di Maria sembrò migliorare un po’ quando gli studenti del seminario scesero da Sezano e si insediarono nel nuovo edificio (29 dicembre 1954) e le suore Cenacoline presero dimora nella sua casetta. Le suore si dimostrarono molto umane, comprensive e dedicavano un po’ del loro tempo a Maria, proprio come aveva previsto lo zio d. Ottavio. Ma fu un miglioramento leggero e solo apparente. Essa venne presa in cura dallo psichiatra prof. Cherubino Trabucchi, il quale la curò anche con l’elettroshock. La depressione la spingeva al suicidio, cosa di cui essa non faceva mistero. Reagiva più che poteva e chiedeva preghiere a tutti. Volle anche compiere un pellegrinaggio a Lourdes per impetrare la grazia della guarigione, o almeno un miglioramento. Un giorno chiese pure di essere condotta al santuario della Salette, sopra Fumane. Venne accontentata e padre Giovanni Vallarsa la condusse per pregare in quella chiesetta, solitaria e deserta, assieme a me e all’immancabile sorella Vittoria.
Il 30 giugno 1956, avvenne il cambio delle suore Cenacoline (fondate da d. Giovanni Ceresola) con le Piccole Suore della S. Famiglia, di Castelletto. Esse non si sentirono di insediarsi nella casetta di don Dall’Acqua e si sistemarono alla meglio nello scantinato del nuovo edificio. Questa soluzione recò un aggravamento alla fragile costituzione di Maria.
Un giorno la sorella, approfittando della relativa tranquillità di Maria, decise di recarsi per breve momento alla sua abitazione di Volta Mantovana, pregando le suore, l’infermiere fratel Flaborea, e fratel Luigi Abram, di prendersi cura della sorella fino al suo ritorno.
Il 29 settembre 1956, dopo colazione, fratel Abram discese alla dimora di Maria, vide che la porta e le finestre erano chiuse, e nessuna risposta ricevevano le sue chiamate e le scampanellate. Risalì al seminario, dando l’allarme. Scesero il superiore ed altre persone, forzarono la porta e trovarono la povera Maria impiccata, penzolante dalle travi del soffitto.
Enorme impressione e grande dolore. Si fece ciò che si doveva fare per legge e per pietà cristiana. Le due sorelle pregarono di dire che la causa del decesso era avvenuta per improvviso infarto cardiaco, causato delle sue lunghe sofferenze.
La defunta aveva lasciato, sopra il letto intatto, il suo libro di preghiere aperto alla pagina dove si leggeva: «Manda, o Signore, i tuoi santi angeli ad accogliere quest’anima e portarla tra le tue braccia». Era la festa dell’arcangelo s. Michele.
Qualche tempo prima essa aveva steso il testamento, in cui lasciava eredi gli Stimmatini delle sue poche cose e del denaro – quasi completamente intatto – che aveva ricevuto da noi, a titolo di legato. Il Signore ha accolto nella sua pace quest’anima inquieta, accanto a d. Ottavio, che aveva amato come zio, e servito fedelmente come sacerdote.