La marcia lunga d’avvicinamento

 

P. Fantozzi voleva ottenere consensi e adesioni al suo progetto. Incontrava e intratteneva persone semplici ed autorità al fine di coinvolgerle con il suo entusiasmo e con la sua parlata fluida e toscana. Desiderava e voleva anche adesioni scritte. Ricordo che ottenne dal Vicario Generale della Diocesi una specie di adesione che spedì al Superiore Generale. Una lettera, bella e puntuale, scrisse pure d. Giovanni Calabria, lettera che io pure vidi, ed un’altra mons. Giuseppe Manzini.

Volle pure costituire un comitato di persone influenti e Autorità col duplice scopo di creare un’atmosfera di simpatia presso le persone e nei loro ambienti, e di essere coadiuvato con il consiglio e con l’appoggio presso le rispettive amministrazioni nel disbrigo delle pratiche. Inoltre anche i superiori dell’Istituto (e i confratelli) si sarebbero sentiti sollevati nelle loro responsabilità e sarebbero stati più cauti nell’opporre rifiuti quando la proposta venisse caldeggiata da una commissione autorevole. (Doc. 2).

Anche qui p. Fantozzi si rifaceva all’esperienza di quando era direttore del patronato operaio alle Stimate. Ricordo che un giorno venne nello studio dell’ingegner Loredan il conte Ugo Guarienti, venerando vegliardo dalla folta barba bianca, ex senatore del Regno d’Italia e ora senatore della Repubblica. Il discorso cadde su p. Fantozzi, allora ancora vivente. Il Guarienti era stato presidente del patronato alle Stimate. «Quando veniva da me p. Fantozzi, egli raccontava, per chiedere qualche cosa o prospettare qualche iniziativa, io dicevo subito: Sì, sì, padre - e poi aggiungevo: Ed ora dica che cosa vuole. Tanto sarebbe stato vano non accondiscendere alle sue proposte». Quando riferii a p. Fantozzi queste espressioni, egli senza nemmeno scomporsi rispose: «Si vede che il conte Guarienti è diventato vecchio!».

 

 

Ma ecco i componenti della commissione:

1. Sen. Antonio Alberti, vicepresidente del Senato

2. Sen. Giovanni Uberti

3. Cav. Dino Fedeli, sindaco di Verona

4. Dr. Guido Mattucci, in rappresentanza del Prefetto

5. Avv. Giuseppe Trabucchi, vicesindaco di Verona

6. Avv. Giuseppe Tomasi, presidente della Provincia di Verona

7. Conte ing. Iseppo Loredan

8. Comm. Emanuele Bassani, presidente del Turismo

9. Comm. Giuseppe Bovo, presidente Camera del Commercio

10. Avv. Giuseppe Ederle

11. Ing. Eugenio Gallizioli, presidente Banca popolare

12. Comm. Giorgio Marani, direttore Banca Popolare

13. Avv. Renato Gozzi

14. Comm. Antonio Nicoletti, vicedirettore della Cassa di Risparmio

15. Dr. Mario Balestrieri, direttore dell’Ente Turismo

16. Piero Gonella, assessore ai LL.PP. del Comune di Verona.

 

Qui finiscono le brevi annotazioni del 1953, alle quali, secondo l’intenzione dell’autore, doveva accompagnarsi e seguire un diario che riportava gli avvenimenti più importanti giorno dopo giorno. Ma si vede proprio che l’inferno è lastricato di buone intenzioni!

Nella cronaca della casa Stimate (Bert. 1950, p. 292) al 28 dicembre c’è una preziosa notizia dovuta alla penna del cronista p. Pietro Andreatta: «In salone, grande adunanza per l’insediamento della Commissione esecutiva pro erigenda Scuola Apostolica e Santuario di Lourdes: anche d. Fantozzi pare prenda vigore dagli incerti di salute dei precedenti giorni».

L’anima del comitato era p. Fantozzi, il relatore e coordinatore era l’ing. Loredan il quale godeva l’amicizia di alcuni e aveva ascendente su tutti. Tra i più attivi, l’avvocato Trabucchi e l’avv. Ederle, non solo durante l’incontro, ma nell’interessamento per la soluzione dei problemi annessi.

L’avv. Trabucchi, vice sindaco - ma in pratica factotum nel Comune di Verona - dinamico, intuitivo, lavoratore deciso, portava avanti il piano di ricostruzione di Verona e aveva contatti con tutte le autorità della Città e Provincia e molte aderenze a Roma. Fu lui a dare il consiglio – non so se in questa circostanza o in altre – che una persona del nostro Istituto rimanesse stabile a Roma con l’incarico di seguire le pratiche della ricostruzione. «Riesce di più, diceva, a smuovere e far camminare una pratica, un novizio religioso che un deputato, perché occorre stare sempre appresso per sollecitare funzionari e impiegati». Diventerà poi senatore e ministro.

L’avv. Ederle, più che all’esercizio dell’arte forense, si dedicava all’amministrazione degli affari. Stava allora realizzando la costruzione del quartiere della Biondella, mentre teneva gli occhi vigili alle Torricelle, dove andava acquistando parecchi terreni. Lo sentii più volte dire: «La terra non ha mai tradito nessuno!».

La Commissione però non ebbe vita lunga, o meglio, non fu attiva per lungo tempo. Mi pare, riflettendo adesso, che fosse nata con una ambiguità di fondo. Alcuni, tra cui p. Fantozzi, la volevano responsabile per la realizzazione del Santuario: trovare i fondi, amministrarli, e consegnare l’edificio bell’e fatto agli Stimmatini. Altri invece, tra cui p. Cervini, pensavano che avesse solo compito consultivo, cioè di dare suggerimenti e prestarsi nello svolgimento delle pratiche. Egli infatti riteneva che non fosse prudente, affidare fondi e beni dell’Istituto ad una Commissione estranea che ne potesse decidere indipendentemente.

Perciò, dopo tre o quattro incontri, cessò praticamente di funzionare. Tuttavia sarà egualmente preziosa in seguito.

 

Riprendendo il racconto degli avvenimenti, devo confessare che non so la data nella quale p. Martinis venne a Verona, per fare visita alle comunità, ma anche per rendersi conto personalmente della soluzione "S. Leonardo", proposta dal binomio Gazzola-Loredan e accolta favorevolmente da p. Fantozzi e dalla Curia provinciale. Fatto sta che egli non partì soddisfatto dal sopralluogo effettuato a quel posto e tutto lasciava prevedere che mettesse il suo veto a quella soluzione. P. Fantozzi ebbe un ritorno di pessimismo. Che fare?

Venne deciso che, non solo il binomio, ma la "triade" Gazzola, Loredan, Ederle scendesse a Roma per illustrare al p. Generale la bontà della soluzione anche dal lato tecnico e i modi possibili per realizzarla, offrendo nel contempo il suo appoggio incondizionato, e testimoniando l’attesa della città per il Santuario.

Scesero dunque i tre a Roma e incontrarono il p. Generale proprio mentre stava uscendo di casa. Egli rimase sorpreso e si scusò di non potersi fermare perché doveva recarsi ad una riunione a cui non poteva mancare. I tre dissero di non preoccuparsi, perché avevano delle cose da sbrigare a Roma e sarebbero ritornati verso mezzogiorno o nel pomeriggio, quando egli fosse disponibile. Fissarono l’ora e si ritrovarono a colloquio. Lasciarono che il p. Generale dicesse quanto pensava, e poi con calma si permisero di illustrare la proposta. La posizione di s. Leonardo, essi dissero, era tra le migliori che esistevano in Verona; non pareva loro che fosse così insalubre, perché infatti crescevano gli olivi, piante che richiedono un luogo esposto al sole e riparato dai venti. Quanto alla strada, l’avv. Ederle avrebbe parlato con il Comune, e si riteneva sicuro che sarebbe stata realizzata in poco tempo, senza oneri da parte dell’Istituto… e così via.

Insomma, le ragioni esposte e l’interessamento sincero dei tre, fecero breccia sull’animo del friulano p. Martinis il quale, anche se non diede un permesso pieno, permetteva che p. Fantozzi continuasse i contatti, in attesa di vederci più chiaro.

Fu sufficiente e tutti compresero che si poteva procedere, però cum moderamine inculpatæ tutelæ.

 

Perché il Santuario in collina? Furono proprio Gazzola e Loredan a consigliare a p. Fantozzi di volgere la sua ricerca verso la collina, piuttosto che in città. Essi preferivano, per un santuario, un luogo appartato e possibilmente suggestivo, come si verifica per altri santuari famosi: Monte Berico a Vicenza e s. Luca a Bologna. Non si preoccupavano per la distanza, perché fra qualche anno ci sarebbero stati mezzi di comunicazione più facili e accessibili a tutti. La posizione poi, la sommità del colle san Leonardo che sovrasta Verona, sarebbe divenuta un’attrattiva per cittadini e pellegrini.

Ricordo che un mattino l’ing. Loredan volle accompagnare il sen. Giovanni Uberti - da poco eletto sindaco di Verona - sul colle s. Leonardo affinché si rendesse conto dell’ambiente dove sarebbe sorto il Santuario. Si procedette a piedi verso il forte per la mulattiera militare. Ad un tratto, dopo una lieve salita, apparve il panorama della città sottostante. Il sindaco si fermò, smise la conversazione, mirò la città e disse: «Che meraviglia!».

«Sa che cosa significa per un veronese, e per di più sindaco, poter contemplare e far ammirare ad altri la sua Verona?», commentava poi in privato l’ingegnere.

 

C’era un altro fattore che consigliava di ricostruire il Santuario, fuori città, o almeno lontano dalle Stimate. Esistevano in via Montanari due chiese, vicine una all’altra, officiate dalla medesima comunità religiosa. Da parecchi anni la chiesa delle Stimate era praticamente chiusa al pubblico. Serviva per la comunità e apriva le porte solo in poche e determinate ricorrenze. Il flusso dei fedeli era verso il Santuario di piazza Cittadella, sempre aperto al culto, con sante messe frequenti, la continua presenza di confessori, e l’attrattiva di una chiesa dedicata alla Madonna di Lourdes.

Poiché la guerra aveva distrutto il Santuario dell’Immacolata, valeva la pena ricostruirlo sul medesimo luogo, con i medesimi problemi e ambiguità, antecedenti? Infine – specialmente nella visione del Gazzola – se si fosse ricostruito il Santuario nel medesimo luogo, il diritto alla progettazione ed esecuzione sarebbe stato rivendicato dall’arch. Vincita, in forza dell’incarico conferito a lui da p. Gardumi.

Ciò valeva egualmente per la ricostruzione della Scuola Apostolica qualora fosse stata riedificata nell’area della ss. Trinità. Eventualità che sia p. Cervini come Gazzola e Loredan – per medesime e complementari ragioni – volevano assolutamente evitare.

Perché costruire la Scuola Apostolica lassù? È già stato detto che la "mens" era quella di abbinare i due edifici. L’urgenza più immediata per l’Istituto era quella di avere una sede per i seminaristi. Attesa, vissuta con sofferenza da parte dei confratelli e aspiranti in continuo aumento. Ne è sintomo una nota del cronista della comunità al 31 dicembre 1951: «Si chiude l’anno vecchio nella speranza che l’anno nuovo possa segnare l’inizio della tanto sospirata costruzione della Scuola Apostolica».

(Bert. 1952, p. 8).

 

Si pensava inoltre che, se la Scuola Apostolica e il Santuario fossero vicini, avrebbero potuto avere reciproco vantaggio.

Gli studenti e i sacerdoti del seminario avrebbero contribuito a dare servizio e decoro alle funzioni religiose, alla predicazione, all’amministrazione del sacramento della riconciliazione. Il Santuario poi poteva essere fonte di qualche aiuto economico per gli studenti della Scuola Apostolica. Si aggiunga inoltre la diffusa tendenza, in quei momenti, di portare i seminari fuori dalle zone abitate delle città, dove il traffico, il rumore, l’inquinamento erano in costante aumento. Perciò un luogo in collina, in mezzo al verde, tranquillo, non troppo discosto dalla città, sembrava il luogo ideale per i nostri studenti seminaristi. (Doc. 3).

Vi erano anche motivi economici che sembravano consigliare una tale decisione. La ricostruzione del seminario richiedeva una forte somma. Il contributo dello Stato era insufficiente, occorreva vendere dei terreni di nostra proprietà. La nostra Provincia religiosa, d’altra parte, non era assolutamente in grado di venire incontro con i suoi mezzi, per il semplice fatto che non ne aveva. Quindi la Scuola Apostolica e il Santuario dovevano fare assegnamento sulle proprie forze.

 

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