SANDRO DI TULLIO (Sacerdote)
Nato 30-12-1933 a Pescopennataro IS
Professione temporanea 9-9-1952
Professione perpetua 9-9-1955
Ordinazione 24-6-1960
Morto 29-8-2009 a Dar es Salaam Tanzania
Anni 75.
P. Sandro era nato il 30 dicembre 1933 Pescopennataro piccolo paese del Molise nella provincia di Isernia.
Entrato nel nostro Istituto come aspirante nel 1946 aveva percorso tutte le tappe della formazione alla vita religiosa e sacerdotale nella zona di Verona: Noviziato (1951) Professione perpetua (1955) Presbiterato (1960)
Dopo alcuni anni di apostolato, passato tra i giovani del Collegio delle Stimate e di Udine e a Cadellara nel 1966 iniziava la sua avventura Missionaria. Partì per il Sud Africa perché diceva, con un’espressione tipica del suo ardore giovanile: «Il mio Cristo è nero e non posso servirlo nel volto dei bianchi!»
Aveva fatto la scelta dei neri lui finito a Mmakau (un villaggio a qualche chilometro dalla città di Pretoria), zona a quel tempo rigorosamente nera, dove i bianchi non potevano entrare e dove i missionari stimmatini, giunti in quei luoghi già dal 1960, erano tollerati perché vicini alla zona dei bianchi e non ancora riconosciuti come pericolosi attentatori all’ordine costituito che voleva i bianchi da una parte e i neri dall’altra (è il tempo dell’apartheid). Per questo p. Sandro aveva scelto di stare con loro e si era buttato perché potessero avere dignità, cultura e possibilità di un futuro diverso.
Durò sei anni la sua prima esperienza africana. Ma nel profondo del suo cuore P. Sandro coltivava anche un anelito di contemplazione, uno spirito di monaco di clausura. Finì così nel 1974, ripercorrendo quasi le linee della spiritualità della grande missionaria Teresa del Bambin Gesù, nella certosa di Farneta (Lucca) in Toscana, alla ricerca di Dio e della sua anima, in un silenzio quasi totale lui che era vissuto nel frastuono e nel rumore delle location e delle township di Ga-Rankuwa, di Motutlung e di Mabopane. Le rare visite ricevute da qualche confratello di passaggio, raccontano di un uomo provato nel corpo da una vita fin troppo sobria e frugale ma di uno spirito che si librava alto nel cielo, leggero quasi quanto il suo corpo dimagrito fin all’inverosimile.
Ma il “mal d’Africa” ormai l’aveva contagiato. Ritornato nella famiglia stimmatina, dopo una breve parentesi come padre spirituale nella nostra comunità di Conversano-BA (1976-1977) ripartì per il continente nero. Questa volta fu la Tanzania nel villaggio di Hombolo nel quale già da qualche tempo si trovava p. Cesare Orler, suo compagno di noviziato e di vita. Si formò un binomio diamantino, due cuori e due vite che amavano in modo diverso ma ugualmente appassionato gli ultimi, i poveri, i dimenticati. Nel 1988 lasciarono il villaggio di Hombolo ed assieme a p. Cesare. giunsero nella Valle dello Iovi, Kisanga prima e Msolwa poi, sempre in Tanzania.
Dopo 20 anni di esperienza Africana, sembrava giunto il tempo di riposare: nel 1998 rientrò in Italia e fu parroco per quasi due anni a Platì (paese del famoso “triangolo della mafia) in Calabria nella diocesi di Locri guidata dal nostro confratello Mons. Giancarlo Bregantini. Poi nella comunità di Pavia (2000-2004) e al Santuario della Madonna di Lourdes in Verona (2005).
Ma un missionario non può mai sedersi tranquillo pensando di essere arrivato o di poter riposare. E così ci fu l’ultimo pezzetto di esperienza missionaria. Tornò in Africa con progetti nuovi, alla periferia di Dar es Salaam (Tanzania), con la voglia ancora di formazione, di evangelizzazione, di promozione umana.
Lì lo colse la morte il 29 agosto 2009.
Le esequie furono celebrate solennemente a Dar es Salaam il giorno 2 settembre 2009 con la presenza di sua eminenza il cardinale Polycarp Pengo assistito da tre vescovi Mons. Ndorobo della diocesi di Mahenge, Mons. Mkude della Diocesi di Morogoro e Mons Kilaini, ausiliare della archidiocesi di Dar es Salaam, con la presenza di 50 sacerdoti. Il corpo, trasportato in Italia è stato sepolto, dopo la liturgia funebre nel Santuario di Nostra Signora di Lourdes in Verona, nella tomba della Congregazione dei Padri Stimmatini il 4 settembre 2009.
Sentitosi male, chiese al confratello Richard Rathari, che vive con lui, di celebrare la Messa e poi di portarlo all'ospedale. Ma, dopo la celebrazione, il giovane confratello lo trova morto.
L’anima inquieta di p. Sandro (omelia al suo funerale di p. Lidio Zaupa)
Chi ha conosciuto p. Sandro non può dimenticare l’inquietudine che ha attraversato tutta la sua vita. Inquietudine di uomo, di prete, di religioso ma soprattutto di missionario. Era partito ancora giovane per il Sud Africa, dopo qualche anno di esperienza nel collegio Bertoni di Udine, “perché, diceva, il mio Cristo è nero e non posso servirlo nel volto dei bianchi!” Aveva fatto la scelta dei neri lui finito a Mmakau, zona a quel tempo rigorosamente nera, dove i bianchi non potevano entrare e dove i missionari stimmatini che erano giunti qui nel 1960 erano tollerati perché vicini alla zona dei bianchi e non ancora riconosciuti come pericolosi attentatori all’ordine costituito che voleva i bianchi da una parte e i neri dall’altra. Per questo p. Sandro aveva scelto di stare con loro e si era buttato perché potessero avere dignità, cultura e possibilità di un futuro diverso.
Non durò a lungo quell’esperienza perché p. Sandro cercava sempre qualcosa in più, di diverso, che rispondesse alle attese del suo spirito. Uomo di profonda preghiera e di grande generosità verso gli ultimi, pensò bene che questi si potevano servire anche tra le mura rigorose di un monastero cistercense. Finì così in Toscana, alla ricerca di Dio e della sua anima, in un silenzio quasi totale lui che era vissuto nel frastuono e nel rumore delle location e delle twonship di Ga-Rankuwa, di Motutlung e di Mabopane. Le rare visite ricevute da qualche confratello di passaggio, raccontano di un uomo provato nel corpo da una vita fin troppo sobria e frugale ma di uno spirito che si librava alto nel cielo, leggero quasi quanto il suo corpo dimagrito fin all’inverosimile. Non durò a lungo neppure questa esperienza perché alla fine dei due anni di noviziato, il padre abate pensò bene di rimandarlo nelle file degli Stimmatini. Forse troppo radicale il suo stile asceta che non ammetteva concessioni di nessun genere al mondo e agli uomini.
Tornò in famiglia, tra gli Stimmatini, e fu l’anima grande e bella di p. Marchesini che l’orientò alla nuova frontiera che si era da poco aperta in Tanzania. Là lavorava già da qualche tempo p. Cesare Orler, suo compagno di noviziato e di vita, con cui facilmente si scontrava perché le personalità era davvero diverse e lontane ma con il quale trovò un’intesa che l’accompagnò per tutto il tempo della vita in cui rimasero assieme. Due cuori che amavano in modo diverso ma ugualmente appassionato gli ultimi, i poveri, i dimenticati. Per p. Sandro, sempre grande uomo di preghiera, che si alzava di buon mattino, si confrontava a lungo con la parola di Dio prima di andare a celebrare ogni mattina la messa dalle suore di Madre Teresa ad Huruma, si aprì forse il capitolo più importante della sua vita. Soprattutto i lebbrosi diventarono i suoi amici più cari. Non si stancava di cercare per loro aiuti, si faceva vicino ogni volta che qualcuno bussava alla sua porta, invitava amici e benefattori a visitare la missione prima di Hombolo e poi di Chicopelo per poter lenire le loro ferite, curare le loro piaghe, consolare le famiglie di tanta gente disperata. Furono anni ricchi di passione missionaria, di incontri, di iniziative, di progetti più vicini alla promozione umana che all’evangelizzazione, perché, come p. Cesare, quando i poveri fanno sentire la loro voce, è la voce di Cristo che deve essere ascoltata: avevo fame, avevo sete, ero lebbroso, e tu ti sei accorto di me! Vieni benedetto del Padre mio. Porto sempre negli occhi e nel cuore l’immagine di p. Sandro che mi portò un giorno ad Huruma, dalle suore di Madre Teresa, dove un bimbo era stato portato in missione perché le suore potessero salvarlo. Era talmente denutrito che si potevano contare tutte le ossa mentre il ventre era gonfio di vermi. Fu tentato l’impossibile, ma non ci fu nulla da fare. La mattina dopo quel piccolo bimbo rendeva la sua anima a Dio. Ricordo ancora le lacrime di p. Sandro di fronte a quella creatura che era tornata al Padre, ricordo la rassegnazione dipinta nel volto di quella suora infermiera di madre Teresa, ricordo ancora quanto rimasi triste anch’io di fronte all’impotenza di questo evento. Eppure p. Sandro poco dopo era ancora all’opera, si era tirato su le maniche e distribuiva vestiti e cibo ai poveri che bussavano alla missione. Quanta grandezza d’animo, quanta inquietudine ancora lo tormentava perché non riusciva a giungere a tutti e quanta passione perché nulla andasse perduto. Quante visite agli amici, quanta collaborazione chiesta ai volontari dell’ABCS, quante richieste ai benefattori perché i suoi poveri potessero avere una speranza e un sorriso.
Alla fine dovette partire anche da Hombolo assieme a p. Cesare. Non fu facile lasciare una terra dove si potevano vedere limpidi i segni del Vangelo vissuto fino alla donazione completa ma il Signore ogni tanto chiama e dice: lascia la tua terra e va dove ti mostrerò! Fu indicato ai vecchi missionari la valle dello Iovi, Kisanga prima e Msolwa poi, terra che doveva essere bagnata dal sangue del martire p. Giuseppe Schiavo in una notte drammatica in cui p. Sandro con p. Daniele Giacomelli presenti nella casa dove si compiva il martirio, non trovarono di meglio in quella notte che suonare le campane per chiamare a raccolta tutta la comunità cattolica del villaggio che si ritrovò in preghiera e in pianto attorno alla salma del padre assassinato. P. Cesare intanto se n’era già andato e anche per p. Sandro arrivarono i tempi di un nuovo cambiamento. Perché la missione chiama sempre a conversione, il missionario non può mai sedersi tranquillo pensando di essere arrivato o di poter riposare. E così ci fu l’ultimo pezzetto di esperienza missionaria in quello di Dar es Salaam dopo una breve esperienza in Calabria. Tornò in Africa con progetti nuovi, alla periferia di Dar, con la voglia ancora di formazione, di evangelizzazione, di promozione umana. Non più tardi dello scorso anno era con me a Milano al san Raffaele per vedere se era possibile una collaborazione sanitaria nella sua missione. Non se ne fece nulla, forse perché il Signore stava preparando un'altra strada al nostro missionario. E così l’ha chiamato nella mattina di venerdì scorso, mentre voleva andare a celebrare la messa ma non si sentiva bene. doveva rientrare proprio nei prossimi giorni per dei controlli perché una vita in Africa ha bisogno sempre di qualche piccola revisione. Non c’è stato tempo, il Signore ha visto che era già pronto per il Paradiso: “Vieni servo buono e fedele, mi hai assistito in vita nei poveri, nei lebbrosi, negli dimenticati della storia. Entra a far parte del mio Regno!”