Riflessioni di P. GIAMPIETRO De Paoli

     S. Zeno è uno tra i padri “minori”; è ricordato da Ambrogio (a proposito della consacrazione delle vergini), da Gregorio Magno (che racconta un miracolo in occasione della piena dell’Adige), da Petronio (che ci ha lasciato un discorso laudativo), dalla basilica che porta il suo nome in Verona (con le splendide porte) e da molte chiese in Alta Italia e nella Retia (regione alpina), ma specialmente dai suoi Sermoni. Sono 90 discorsi, raccolti in due libri quelli che ci sono rimasti; alcuni sono completi, altri sono stralci, probabilmente di un lezionario liturgico veronese. Tra i più belli: l’allegoria della vite, l’allegoria del frumento, la dedicazione della chiesa, la carità. Interessante storicamente quello sul martire africano Arcadio, che fa pensare alla origine africana del vescovo di Verona, detto moro.

Zeno è morto intorno al 380 (c’è chi ne anticipa la data); il suo episcopato è quindi di alcuni anni precedente a quello di Ambrogio. L’espressione che riassume la sua azione pastorale, ripetuta attraverso la tradizione letteraria ed innica è che “portò Verona al Battesimo”. Pur non essendone stato il primo (ma l’ottavo) è quello che in modo decisivo ha caratterizzato la storia ecclesiale di Verona.

 

Il Bertoni aveva a disposizione l’edizione dei Sermones di San Zeno curata dai Fratelli Ballerini, una edizione criticamente molto valida, con ampie dissertazioni di carattere letterario, storico e dogmatico (pubblicata integralmente nella Collana patristica del Migne, PL). D. Gaspare ha fatto suoi molti dati ivi raccolti ed analizzati. Quello che ci interessa non è tanto riuscire a trovarvi novità a questo livello, quanto, piuttosto, come Don Gaspare, dopo molte riflessioni e diverse stesure, ha impostato il discorso. E’ certamente riduttivo, ma non difficile, leggere tra le righe i lineamenti del Missionario apostolico,  ritrovare luminosamente presenti nella persona ed attività di S. Zeno le virtù e la vocazione del missionario e del predicatore della Parola di Dio.

Da notare che, nonostante il titolo e la memoria fosse di vescovo e martire, su questo  Don Gaspare accoglieva quello che, almeno oggi, è pacifico: “... se di fatto è venuta a mancare la spada del carnefice, tuttavia non è mancata la predisposizione al martirio, che gli ha dato  (a S. Zeno) buon diritto anche a questa parte di gloria”.

Forse la maggior attenzione (e con quanta prudente misura!) è stata riservata da don Gaspare alla lettura della situazione della Chiesa, della teologia, della cultura, della società... al tempo di San Zeno. In trasparenza il Bertoni sembra aver voluto leggere il suo tempo, e dei suoi uditori, nella vicenda ecclesiale di Zeno, per farsene interprete in una circostanza così solenne ed impegnativa. L’Ottocento, dai suoi primi decenni, attraversato dalle novità della Rivoluzione, dalle prepotenze napoleoniche, dal diffondersi di un pensiero illuminista che richiedeva dalla Chiesa (ed in essa dalla teologia, dalla cultura cristiana) una riappropriazione in termini rinnovati del proprio patrimonio dottrinale e culturale.

Come aveva vissuto Zeno il servizio episcopale al suo tempo? Il Bertoni lo dice con un’immagine: “... Un orticello che il contadino lavora fedelmente, ma quasi di nascosto, senza potervi costruire un muro o una siepe di confine. Il contadino stesso non può mostrarsi senza suscitare sospetti e timori, di cui il posto è pieno. Il vicino, infatti, tanto rapace e geloso, sta in agguato con cento occhi... Le leggi della nazione, sostenute dall’opinione pubblica erano tese a distruggere ogni segno dell’opinione cristiana. Le più grandi autorità e gli stessi sommi imperatori erano tutti solleciti nel fare eseguire queste leggi e cercavano ogni mezzo per far scomparire la fede”.

Si riferisce alla ventata pagana di Giuliano l’Apostata, alla presenza e resistenza del culto pagano specialmente fuori dai centri urbani, ma anche alle sopraffazioni ariane nei confronti dell’orto-dossia, sostenute dal potere imperiale. Alle ragioni di stato, come sempre, si sommavano “le passioni particolari, l’interesse dei persecutori, l’odio dei popoli stessi”. Il Bertoni aggiunge “neppure si può dire che fossero poco riflettuti e studiati i consigli che l’astuzia dei filosofi somministrava con perfezione e sottigliezza”.

Zeno, dotato di una buona formazione culturale, arrivava a Verona dall’Africa (attraverso la Siria, dice la tradizione); vi arrivava come “prode soldato, armato di spada, scudo e saette, mandato a conquistare le spoglie dei suoi nemici, con la promessa di un sicuro trionfo”. L’immagine del “soldato” è familiare al Bertoni per indicare il “missionario”; ce lo testimonia anche il linguaggio con cui egli descrive l’esperienza spirituale e l’ispirazione avuta all’altare di S. Ignazio. E nel suo discorso S. Gaspare si sofferma a considerare con quale forza, in qual modo, con quale ordine Zeno (e noi vi leggiamo in trasparenza il metodo missionario bertoniano!) portava avanti la sua battaglia.

Nei passaggi del discorso su S. Zeno emergono le virtù del missionario: la mansuetudine, l’ilarità. “Al posto del coraggio la mansuetudine, al posto del terrore l’ilarità...: questa è la strategia di guerra indicata dallo stesso re e dal capitano generale che l’ha mandato” (cf Gv 20, 21; Mt 10, 16). “L’ira non si vince con l’ira, ma piuttosto si spegne con la mansuetudine” (2074). “La ragione e l’esperienza dell’uomo dimostrano che quando il nemico è forte e furioso, egli verrà vinto... Si fa buon uso delle vittorie riportate, senza assumere atteggiamenti fieri e insolenti... Si vince com-pletamente il nemico quando, dopo averlo disarmato, si riesce a conquistargli il cuore” (cf n. 2073; il 2075 riprende il motivo intro-ducendo “fortezza” e “prudenza”). Chi ha la vittoria in pugno ne fa un uso moderato. Prudenza, moderazione, equilibrio, semplicità, mansuetudine, cuore!

“È considerato fortissimo e prudentissimo quel capitano che non muove battaglia, né accetta di entrarvi quando l’esito è incerto e pericoloso, ma piuttosto cede, si ritrae, sostiene le fatiche, i danni, gli insulti del nemico, le reazioni dei soldati, i sospetti del popolo senza turbarsi, nel frattempo raduna le forze e chiama i soccorsi...” (2076).

“S. Zeno, era come una spada affilata attraverso la Parola di Dio di cui era servitore” (2074). “Dio parlò a Zeno e la bocca di questi divenne spada affilata proprio per la Parola di Dio di cui era ministro”.

Per essere questa “spada affilata” il missionario vive “al-l’ombra di Dio”, usando dei mezzi della preghiera, del digiuno, ritrovandosi nel silenzio della sua casa per trovare le porte aperte nella sua predicazione (monaci in casa, apostoli fuori?): “Allora dalla mia bocca stilleranno le parole di sapienza, come fresca pioggia abbondante scende dalle nubi del cielo” (2079-2080).

I motivi si susseguono: la prudenza porta a non aver fretta di ottenere la vittoria, ad “aspettare il tempo giusto e i segni che la indicano”. E non può mancare la sottolineatura della gioia nel volto ilare di Zeno, perché la “carità come è lieta nei momenti positivi, così è contenta sempre anche nei momenti di avversità”. L’ilarità, intesa come gioia profonda, “è l’ornamento e il fiore di ogni virtù” e “come è cara a Dio, è  cara ad ogni uomo e in modo speciale deve essere stata molto gradita ai veronesi che se la vedevano rap-presentata nel loro san Zeno...” (2082). Ma come ha potuto essere così allegro...? “Doveva proprio essere realizzato e ordinato quel-l’animo dove la gioia era così piena, la tranquillità così costante, la pace tanto ridente e lieta. Come non doveva gioire chi aveva il suo Dio così vicino? La gioia di S. Zeno era una fonte che rendeva perennemente fresca, viva e fiorente ogni stagione della sua vita... accompagnato da una moderazione e soavità che rendeva gioiosi anche gli altri...” (2083). “E come attinge la dolcezza divina mentre si trova nelle tribolazioni? Nell’amore  e nella contemplazione è rapito in Dio e in lui trova il suo rifugio” (2084).

Forse i paragrafi 2087-2090 invitano con più forza ad una attualizzazione in un contesto “postcristiano” (“una guerra grave, lunga e pericolosa che dilaga da ogni parte e molto vicino”), segnato da situazioni di umiliazione, di ambiguità, contrasti, nel quale sempre più urgente si avverte l’esigenza di una Nuova Evangelizzazione...

Curioso il n. 2100: “A quei tempi non era così raro vedere un santo, come lo è oggi, anzi ce n’erano molti...”: e la schiera di santi, suoi amici e confidenti, compagni di un eroico cammino di santità che popolavano Verona?

Il Sermone continua, con la descrizione della devozione a San Zeno, delle chiese erette in sua memoria, dei miracoli a lui attribuiti, della sua dottrina e lotta contro l’eresia, delle sue cele-brazioni, della fioritura della vita cristiana nella sua comunità vero-nese che andava facendosi sempre più grande e numerosa...

Bello, elaborato, solenne, il discorso fu (e resta) un dono per i veronesi che l’ascoltarono nella celebrazione in onore del santo patrono della loro Chiesa. Per gli Stimmatini è anche qualche cosa di più, è - credo si possa dire - quasi un “manifesto”, un “messaggio” sull’identità e la missione del Missionario Apostolico. Come spesso nei suoi scritti, anche qui il Bertoni trasmette  il suo pensiero nascondendosi con le parole  e la vita di altri. Qui, nella pienezza della sua maturità, in un meditato e rimeditato discorso, ci parla dei suoi Missionari Apostolici, e delle vie per le quali vivono la loro vocazione, attraverso la vita di San Zeno.