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Santuario
Approvazione ecclesiastica e civile
Riprendiamo a narrare e terminiamo – se a Dio piace – le vicende dell’erezione del Santuario della Madonna di Lourdes, e immediatamente dell’approvazione da parte dell’autorità ecclesiastica e civile.
Se ci fossimo limitati a ricostruire il Santuario dove sorgeva prima, la autorizzazione da parte delle due autorità sarebbe stata facile da ottenere, quasi automatica. Ma volendo costruire il sacro edificio con progetto totalmente diverso da quello preesistente, in località collinare e per giunta al posto di una fortificazione storica, agli occhi di tutti – e del semplice buon senso – appariva come una nuova costruzione e non come ricostruzione di edificio distrutto o danneggiato da eventi bellici. Perciò sia l’una autorità che l’altra potevano e dovevano entrare anche nel giudizio di merito sulla nuova opera e non essere soltanto spettatrici.
La legislazione, e di conseguenza anche le idee, non erano del tutto chiare in materia. Ci si poteva quindi attendere che nascessero delle difficoltà ed incomprensioni. Come di fatto accadde, sebbene sotto diverso profilo, tra noi Stimmatini e l’autorità, sia ecclesiastica che civile.
Approvazione ecclesiastica
Relazioni con il vescovo mons. Girolamo Cardinale
Per aver diritto al contributo dello Stato nella ricostruzione di edifici di culto distrutti dalla guerra, la legge esigeva una dichiarazione da parte dell’Ordinario diocesano comprovante l’effettivo danno subito dall’edificio – nel nostro caso dell’ex Santuario che esisteva in piazza Cittadella – e la necessità od almeno l’opportunità della ricostruzione. La legislazione inoltre prevedeva che il sacro edificio potesse essere ricostruito in forma e in luogo diversi, se l’Ordinario, a suo giudizio, lo avesse ritenuto conveniente.
Il Vescovo di Verona era al corrente della volontà di p. Fantozzi di ricostruire il Santuario della Madonna di Lourdes ed era favorevole alla sua rinascita. Ne fa fede la sua disponibilità a cedere l’area della chiesa di s. Antonio in Corso Porta Nuova per questo scopo. Tuttavia p. Fantozzi cominciò a pensare che il Vescovo non sarebbe stato proprio del tutto favorevole qualora il Santuario fosse sorto sui colli di Verona. In quel medesimo tempo infatti mons. Cardinale stava dando compimento al voto fatto alla Madonna, di costruire in suo onore un tempio per aver preservato la città di Verona dagli orrori di una guerra "guerreggiata". Padre Fantozzi inoltre aveva colto qua e là delle voci da parte di alcune persone, le quali non approvavano il fatto che a Verona venissero eretti contemporaneamente due santuari alla Madonna.
Egli aprì l’animo ed espresse il suo timore al professor Gazzola, il quale però lo rassicurò e si offrì spontaneamente di parlare della cosa al Vescovo, di ottenere il suo esplicito beneplacito ed anche il relativo documento di autorizzazione, necessario per condurre le pratiche.
Difatti, dopo qualche giorno, si presentò a p. Fantozzi con il documento regolarmente redatto e sottoscritto dal Vescovo, su foglio intestato e sigillo vescovile: insomma in piena regola. Il Gazzola disse che il Vescovo non aveva mostrato difficoltà alcuna, anzi gli aveva consegnato il foglio brevi manu, con grande disponibilità.
Soddisfazione e grande sollievo da parte di p. Fantozzi e di tutti noi. Ma il fatto che il Vescovo aveva concesso il documento di autorizzazione direttamente, quasi motu proprio, senza consultare gli ufficiali di Curia e i collaboratori, creerà in seguito degli equivoci, dei malumori e farà sorgere proprio quelle difficoltà che p. Fantozzi aveva paventato.
Allestita la pratica, con tutti i documenti di rito, venne inoltrata al Genio Civile di Verona per l’esame e la trasmissione al Provveditorato alle Opere Pubbliche (Magistrato alle Acque) di Venezia, e di qui al Ministero. Ricordo un fatto emblematico dell’iter di questa pratica. Mentre era giacente presso il Genio Civile di Verona, un ingegnere dell’Ufficio si presentò alle Stimate allo scopo di verificare e controllare l’entità dei danni subiti dall’ex Santuario, come da denuncia. Fui incaricato di condurlo tra le macerie e di assisterlo nel lavoro. Si mise a misurare i pezzi di muro rimasti in piedi, screpolati o cadenti che fossero, allo scopo di detrarli dal volume dell’edificio, perché, secondo lui, "erano ancora in piedi". A nulla valse la mia asserzione che quei ruderi, ancora in piedi, dovevano essere abbattuti, perché cadenti. Quindi avrebbero comportato una spesa in più da parte nostra, altro che operare una detrazione! Misurò, fece calcoli, fece detrazioni e quant’altre diavolerie, per l’intera giornata. Poi portò le sue conclusioni ai competenti uffici e non so come fossero recepite.
La conclusione dell’Ufficio fu la seguente: il danno subito dal Santuario di piazza Cittadella ammontava a £ 34.151.000
Fatta la verifica, o controllo, era possibile eseguire i lavori che si ritenevano opportuni sull’area dell’ex Santuario dove, secondo il progetto dell’arch. Vincita, doveva sorgere la grande aula da destinare a cinema-teatro. Così pure era possibile, anzi doveroso, asportare le statue sacre sepolte tra le macerie e i marmi degli altari (colonne, gradini, tavole di marmo) rimasti salvi, che si pensava potessero essere utili in altre parti.
Alcuni pezzi di un altare laterale dell’ex chiesa furono usati per erigere l’altare della cappella di Boscochiesanuova, nella villa Armellini, di recente acquistata. Qui pure trovò degna collocazione il tabernacolo d’argento che era collocato sull’altare maggiore del Santuario. Delle statue marmoree una, quella del Buon Pastore, fu concessa "temporaneamente" a p. Francesco Trepin, e collocata accanto alla nuova chiesa della sacra Famiglia, a Pavia.
Un altro altare venne smontato e trasportato (quasi al completo) nella chiesetta di s. Andrea di Incaffi, e collocato al posto di quello là esistente. Il quale a sua volta, rimosso da quel luogo, fu ricomposto nella cappella della "Concezione", adiacente alla chiesa delle Stimate in Verona. Così, dopo alcuni anni, ritornava nel sacello e nel posto dove si trovava e per il quale era stato costruito. Infatti, negli anni antecedenti la guerra, p. Ferdinando Dominici, superiore della comunità delle Stimate, aveva trasformato quell’Oratorio in sala d’accoglienza per il collegio, spostando la salma del Bertoni – che si trovava "murata" entro la parete Est – ed eliminando l’altare con l’effigie della "Concezione", opera del pittore Amigazzi. L’altare e annessi non vennero distrutti (almeno questo!), ma donati alla chiesetta di s. Andrea di Incaffi, dove allora aveva sede il noviziato e dove rimasero appunto fino al loro recupero.
Decisamente, l’amore per l’arte, la storia e la pietà filiale verso il Fondatore sembra non fossero allora così vive come sono oggi!
Gli altri pezzi intatti, ritenuti utilizzabili, e alcune statue marmoree furono trasportate sul colle s. Leonardo e riposte nel forte, entro il cunicolo, sotto la grotta della Madonna, cunicolo scavato nel tufo dagli austriaci, passaggio e canale di comunicazione tra il forte e l’esterno, verso il vallo da cui passavano i rifornimenti, le munizioni, i cannoni. Al presente le "reliquie" del vecchio Santuario di piazza Cittadella "riposano" in quell’androne, attendendo "un profeta" che indichi il luogo dove possono essere utilizzate o esposte.
(Nel mese di ottobre 1999, il rettore del Santuario p. Renato Carcereri, sistema la statua di San Giuseppe con bambino nel viale di accesso. Sant’Antonio di Padova e San Luigi Gonzaga sono messi nella parte anteriore, ai due lati, dello scalone che dal piazzale sale al Santuario. Santa Teresa d’Avila che abbraccia il crocifisso, viene posta nel giardinetto alle spalle di s. Bernardetta.)
Il giorno 25 febbraio 1951 avvenne la posa della prima pietra del Tempio Votivo, nell’area del piazzale di Porta Nuova. Grande soddisfazione per il vescovo monsignor Cardinale che vedeva compiersi il suo voto, espressione della sua devozione e gratitudine alla Vergine.
Non so se antecedentemente o dopo questo avvenimento, (certo prima del maggio 1952) p. Fantozzi decise di chiedere un’udienza al Vescovo il quale viveva appartato, a causa dell’età e degli acciacchi, e lasciava molto spazio al suo vicario generale, mons. Pietro Albrigi nel disbrigo degli affari della diocesi. Non conosco se il motivo fosse di mettere al corrente il Vescovo della situazione e delle pratiche relative al Santuario della Madonna di Lourdes, o se volesse addirittura invitarlo fin d’allora alla posa della prima pietra, sul colle s. Leonardo.
L’udienza avvenne in episcopio. Assieme a p. Fantozzi erano d. Cervini, Superiore Provinciale, e l’avv. Ederle, come membro della commissione per l’erigendo Santuario. Io accompagnai i tre fino alla sala d’aspetto e rimasi lì, ad attendere.
P. Fantozzi e p. Cervini mi riferirono l’esito, appena usciti dall’incontro, ancora sotto l’impressione. Il Vescovo si ricordava bene del permesso concesso a suo tempo di erigere il Santuario della Madonna di Lourdes, ma pensava che non fosse così prossima la realizzazione. Comunque non gli sembrava opportuno di convogliare l’attenzione sulla costruzione di un altro santuario mariano, proprio mentre egli stava per dare compimento al suo voto, coinvolgendo tutta la diocesi.
P. Fantozzi deve aver accolto male, cioè con dolore e come una doccia fredda, l’esternazione del Vescovo. Con il suo parlare toscano e l’entusiasmo sincero, ma talora esuberante, cercava di persuadere mons. Vescovo che le due cose potevano andare d’accordo, trattandosi della gratitudine e dell’amore che i fedeli hanno verso la Madre di Dio.
Il Vescovo non era del medesimo parere. Ascoltava p. Fantozzi, ma ripeteva la sua convinzione. La conversazione si protraeva, con rispetto reciproco e con calore, quando mons. Cardinale, evidentemente contrariato, batté un colpo sul tavolo e disse: «Sono io il Vescovo, e finché non è terminato il Tempio Votivo non permetto che si inizi il Santuario della Madonna di Lourdes".
Dolore, disappunto, ma anche rassegnazione. P. Cervini – timido di natura – accolse la decisione in silenzio. L’avvocato Ederle disse espressamente che le preoccupazioni del Vescovo erano giuste, e quindi era doveroso attendere.
E tutto si avviava verso la conclusione, quando p. Fantozzi fece un atto che poteva sembrare teatrale. Si alzò, si prostrò ginocchioni davanti al Vescovo e disse: «Eccellenza, io sono oramai vecchio, non mi resta molto da vivere. Non voglio presentarmi davanti al tribunale di Dio in contrasto col mio Vescovo, né voglio che la gente dica: questa è la Madonna del Vescovo e quella è la Madonna di d. Fantozzi. Mi dia la sua benedizione, in segno di obbedienza e perdono».
Il Vescovo non si aspettava un gesto simile e, un po’ confuso e commosso, disse: «Ma no, ma no, padre. È Lei che deve dare la benedizione a me, si alzi! Il Vescovo non dimenticherà mai quanto Lei ha fatto in onore di Maria! Si alzi, stia tranquillo!». Dopo la benedizione data a p. Fantozzi e agli altri, mentre si congedava, in atteggiamento affabile e amichevole, gli andava dicendo: «Vedrà, padre, che tutto andrà bene. Si tratta di pazientare un po’ di tempo e anche la Madonna di Lourdes avrà il suo Santuario».
Quando raccontava questo incontro (e fu parecchie volte) p. Fantozzi non mostrava alcun risentimento. Solo sofferenza, perché, diceva, «Sono vecchio e malandato, e temo che non avrò la grazia di vedere il Santuario ricostruito».
Come di fatto avvenne…
Ultimi anni e morte di Padre Fantozzi
P. Fantozzi dimorava a Verona presso la comunità delle Stimate e di lì seguiva e "precedeva" gli avvenimenti con attenzione e impazienza.
Gli acciacchi si andavano moltiplicando e aggravando. Colgo queste indicazioni dal Bertoniano. Nel marzo 1951 rimase a letto per tutto il mese. Passò quindi a Sezano per rimettersi in salute e in agosto salì a Boscochiesanuova, per riposare. Qui fu visitato dal suo vecchio amico p. Bevilacqua dei Filippini di Brescia (poi cardinale) ed anche dal Vescovo che era in visita a Valdiporro. Infine rimase praticamente a Sezano, finché nel 1952 venne assegnato definitivamente a quella comunità. (cf. Bert. 1952, p. 103).
Anche dal luogo di quest’ultima dimora continuava a seguire le vicende del "suo" Santuario. Di tanto in tanto, spontaneamente o chiamati, salivano a Sezano l’Ingegner Loredan o Gazzola, più il primo che il secondo, per ragguagliare p. Fantozzi sull’iter delle pratiche; più spesso per offrire a lui la possibilità di "sfogarsi", esprimendo desideri, raccontando ricordi e prospettando i suoi... sogni. Dopo l’ottobre del 1952 salivo anch’io almeno due volte la settimana e mi intrattenevo con lui. Era lucido, vivace, proteso verso il futuro con entusiasmo e ottimismo. Qualche volta, esprimeva una specie di visione, dicendo: «Vedo folle e folle che salgono al Santuario per pregare la Madonna e cantare le sue lodi!».
Durante il giorno rimaneva quasi sempre in stanza seguito amorevolmente dagli infermieri, fratel Secondiano Flaborea e fratel Natale Viscito. Quest’ultimo aveva incontrato e conosciuto padre Fantozzi a Salerno, durante la guerra, quando era ricoverato nell’ospedale militare, e p. Fantozzi fungeva da sostituto-cappellano. Ne avrebbe molte da raccontare su di lui!
Aveva anche la possibilità e il tempo di leggere, e leggeva di preferenza vite di santi.
Ma purtroppo dovette presto diradare e poi sospendere la lettura a causa di una cataratta agli occhi. Egli mal sopportava questa progressiva perdita della vista e la conseguente prospettiva di rimanere inattivo a causa della cecità. Desiderava sottoporsi a operazione chirurgica: ne parlava con tutti quelli che lo visitavano, per averne consiglio, o meglio, per trovare consenso ed appoggio. Erano contrari all’intervento gli infermieri e il dottore che lo seguiva, il p. Provinciale e l’ing. Loredan che era Presidente degli Istituti Ospitalieri di Verona e aveva modo di interpellare degli specialisti. Ma egli non si persuadeva.
Un giorno lesse sul giornale che a Vienna un paziente di cataratta, novantenne, era stato operato con successo. Non ci volle di meglio: moltiplicò le insistenze per sottoporsi anche lui all’intervento. Diceva: «Se hanno operato un novantenne, perché non possono operare me che sono solo ottantenne? Quindi non è vero che io sono troppo vecchio per essere operato». Le sue insistenze – più che le sue argomentazioni – finirono per indurre i responsabili ad acconsentire all’intervento chirurgico, pur di accontentarlo.
Non ricordo quando né da chi venne eseguita l’operazione ad un occhio, quello sinistro. Ricordo una visita fatta insieme all’ing. Loredan a p. Fantozzi, nella sua stanzetta, di fronte alla scala, sulla loggia (oggi, sacrestia). P. Fantozzi, con un occhio bendato, indebolito nell’organismo ma perfettamente in sé e pieno di spirito, parlava della Madonna Immacolata e del Santuario. Purtroppo non doveva vederlo coi suoi occhi, neppure liberi dalla cataratta!
Trascrivo dalla cronaca di Sezano: «Nel frattempo è venuto a mancare p. Luigi Fantozzi. Dopo aver superato felicemente un intervento all’occhio sinistro per la cura di una cataratta, fu colto da un aggravamento del suo mal di cuore, che lo portò lentamente e serenamente alla morte, sopraggiunta la sera del 4 dicembre 1953. Aveva appena recitato il Rosario insieme con gli infermieri fratel Flaborea e fratel Viscito, che lo avevano sempre assistito». (Bert. 1954, p. 334). Proprio come nella preghiera di Bartolo Longo: «O Rosario benedetto di Maria, a Te l’ultimo bacio della vita che si spegne – e l’ultimo accento delle smorte labbra sarà il tuo Nome, o Maria!».
Il giorno dopo l’ing. Loredan mi portò in macchina a Sezano per visitare la salma e pregare per l’anima benedetta di p. Fantozzi. Quando uscimmo dalla stanza, tutti e due visibilmente commossi, mi prese le mani e stringendole disse: «Ora tocca a noi realizzare il sogno di p. Fantozzi!». Si era nella novena dell’Immacolata, della quale p. Fantozzi era stato chiamato "Il Cavaliere".
Per concludere, una nota un po’ malinconica, ma da ricordare per dovere di verità.
La salma di p. Fantozzi venne trasportata a Verona ed esposta nella cappella della Concezione. Ne fu data notizia tramite la stampa e furono affissi avvisi murali. A visitare la salma vennero poche persone, e alle esequie, una frequenza normale.
La cronaca della casa Stimate non menziona neppure l’avvenimento. Solo nel mese di gennaio successivo, si legge: «Messa di trigesimo per il p. Fantozzi: celebra mons. Chiot. Sono intervenuti molti amici suoi e dell’opera nostra». (Bert. 1954, p. 354).
L’ing. Loredan esprimeva il suo stupore dicendo: «Con tutto quello che p. Fantozzi è stato per Verona, mi aspettavo qualche cosa di più».
L’anno seguente 1954 morivano:
29-07-1954: d. Ottavio Dall’acqua
04-12-1954: d. Giovanni Calabria
26-12-1954: mons. Girolamo Cardinale.
Una generazione che scompariva. Tutti avevano avuto rapporti con p. Fantozzi e con l’opera sua in diverse forme e con atteggiamenti diversi. Amiamo ricordarli insieme, uniti in Cielo, nella visione di Dio accanto alla Vergine Immacolata.