NEL MAR DELLA GRECIA - 12.11.1932
Il mare è ancora un po’ mosso, ma il cielo va rasserenandosi. Ad una ad una le belle isole della Grecia passarono dinanzi al nostro sguardo. Cefalonia, grande, con i suoi monti, la graziosa Zante, patria di Foscolo, che gli ispirò i singhiozzanti versi: «Né mai più rivedrò le sacre sponde, dove il mio corpo fanciulletto giacque, - Zacinto mia...». Vedemmo il Peloponneso, con le sue grandi diramazioni, simili a dita colossali, le altre isolette sparse qua e là. Dopo cena passai un’ora, che non mi dimenticherò altro. Solo sulla prora, avvolto come in un manto magnifico, al chiaror della luna, che appariva e scompariva tra le nuvole oscure del cielo immerso nel senso più vivo della presenza di Dio, pregai. Venga il tuo regno. Che bella, come era istintiva la preghiera! E la luna mi illuminava, la nave scivolava veloce, io, là, solo sulla prora; mi sembrava di essere il padrone del mare e della nave. Ascoltavo il canto delle onde, il vento che lo raccoglieva nel suo seno e lo sperdeva lontano lontano. Spingevo l'occhio innanzi, nell’ignoto; cercavo un punto, lo immaginavo, la Cina. Sentivo ardentissimo il desiderio di giungervi: vedevo le anime dei cinesetti, che mi attendevano, ascoltavo i loro gemiti, le loro grida; li vedevo stendermi le braccia. «Vengo, vengo, sono qua!». E la nave sembrava mi udisse, sembrava indovinasse i miei pensieri, i miei sentimenti; e provavo la sensazione che filasse più veloce, che anche a lei premesse di giungere presto.