500 PASSEGGERI DEL «CONTE ROSSO» - 19.11.1932
E i passeggeri del Conte Rosso? Ce ne sono d'ogni nazione, d'ogni lingua, d'ogni costume: in tutto saranno 500. Molti sono cinesi, quasi tutti giovani, vestiti all'europea, con certi visetti simpatici, con quegli occhi a mandorla, chiusi, quasi imbambolati: sono furbi e anche spiritosi, piccoli e snelli. Tra di loro c’è pure una giovane, alquanto bruttina, con un paio di mandibole e relativi mascellari sporgenti da sembrare una grossa scimmiona. Ho avuto l’onore di parlarle; sa il francese, essendo stata a Parigi quattro anni, ma lo parla così barbaramente che mi son guastate mezzo le orecchie a forza di tendere le corde acustiche.
Vi sono pure parecchi indiani e alcune indiane, avvolte nei loro ampi e sfarzosi abiti: sono molto rispettosi e gentili. Sul ponte poi, disteso su una semplice stuoia vi è un povero vecchietto, indiano, con una barbetta bianca, sempre solo, con un aspetto misterioso e strano, un viso tutto scarno e rugoso. Quando lo vedevo pensavo subito a Ghandi e me lo immaginavo simile, specialmente per quell’aria di mistero che assumeva tutta la sua persona. Era stato a lavorare in Inghilterra, ed ora ritornava con qualche sterlina, sperando di finire i suoi poveri giorni nella tranquillità del suo paesello.
Ma avvenne, per causa degli sbalzi di temperatura e per il suo fisico frustrato ormai dagli anni e dalla fatica, avvenne che si buscò una forte polmonite. Il poverino se la portava in piedi, cercando di far resistenza al male. Fu inutile. Un giorno lo trovarono sfinito e per lo più aggravatissimo. Fu portato subito nell'infermeria e curato amorosamente. Egli però non voleva lasciare la sua stuoia, ed insisteva con tutta la sua forza perché non se lo portasse nell'infermeria. E perché? Perché temeva, che gli portassero via i suoi quattro soldi, frutto del suo duro lavoro. «I miei soldi, i miei soldi», borbottava quasi fuori di sé. L'infermiere allora gentilmente gli fece capire che il suo piccolo tesoro era in salvo, che non temesse, che ci avrebbe pensato lui. Il poverino però non si dava pace. «Tutte belle parole, ma i soldi io non li vedo. No, no, i miei soldi, i miei soldi». In una parola, non fu contento se non quando l'infermiere gli mostrò il suo tesoro e glielo pose sotto il guanciale. Allora fu veramente contento e non finiva mai di ringraziare l'infermiere e di borbottare con grande gioia: «Oh ies, oh ies».
Ci sono pure dei tedeschi, francesi, inglesi, russi, ecc. ecc. in tutto 34 nazionalità. Parecchie suore, una quarantina. Chi va in India, chi in Cina, chi in Giappone, chi a Giava; un po' da per tutto, con mille differenti intenzioni; per qualche mese, per un anno, per due o più, chi per sempre. Nella nostra classe di italiani, oltre le suore, vi è pure un signore, un tipo simpaticissimo, pazzo da legare, che va a Giava con la sua signora. È di Grottaglie (TA), bassa Italia; è sempre con noi sul ponte, facendo continuamente dispetti, o, come dice lui, mettendo in croce le suore; non per cattiveria, ma solo per ridere, perché non è capace di star zitto un solo momento. È originalissimo: sentire tutte le "mannaggia" che tira giù... Parla sempre forte, ride così sonoramente che sembra una cornacchia: il labbro superiore dritto, l'inferiore a semicerchio. Ride in un tono profondo e molto grassamente, e quando ride proprio di tutto cuore, termina sempre un tono più sotto. È tracagnotto, bruno, con una piazzetta a mo' di chierica sul cocuzzolo, una bocca discreta, due orecchie, che sarebbero normali, se non fossero un po’ lunghette, panciuto anzi che no, due mani pelose con relative dita, che le direste affusolate, se a prima vista non vi sembrassero tanti salametti; tutto l'insieme un uomo sulla quarantina. La sua signora è di Taranto. Non vanno mai d'accordo. Essa soffre mal di mare, e con la fantasia se lo fa più grande di quello che è. Lui cerca di curarla, la consiglia a prendere qualche cosa, a salire sul ponte per prendere un po’ d'aria, a farsi coraggio: niente. Allora invoca tutti i santi, come fanno i napoletani, si arrabbia: «Ecco la mia croce. Ah! Mannaggia, è meglio condurre in mare 17 bambini tutti storpi, brutti e cisposi, che una donna come costei», diceva a noi che ridevamo di gusto, almeno, almeno passerei tutto il giorno a far iniezioni, e a mettere collirio negli occhi. (sic).
È bello poi vederlo quando fa le predichette alle suore quando, indicando la madre superiora, le esorta con un tono grave e solenne: «Fratelli, sorelle, uniamoci insieme - seguiamo la madre che langue che geme - del grande dolore battiamo la via - uniamoci insieme, seguiamo Maria. - Orates frates, osanna, sursu cordam, Domino vobiscom». È chiacchierone fenomenale; dopo un po' che gli state vicino, vi viene una testa grossa come un gerlo.