ORFANOTROFIO
Dopo la guerra, che portò in cielo papà e mamma, entrai con mio fratello Giuseppe di cinque anni in orfanotrofio.
Fu per noi come una vera famiglia. L'orfanotrofio era stato istituito dalla signora Teuteria e da altre due signore. Devo molto a questa forma di educazione.
Esse tenevano bambini dai tre anni e giovani fino ai sedici. Tutti partecipavamo alla vita familiare: lavare i piatti, aiutare a far da mangiare e lavare, studiare e pregare.
Esistevano gelosie, litigi e predilezioni, certo, ma alla fine, tutti avevamo lo stesso rispetto e spazio per sviluppare le capacità personali.
Quando, per esempio, dissi che io sarei diventato missionario, ebbi una predilezione speciale.
Ricordo con gratitudine Guglielmo che organizzava i giochi e gli scherzi e mi insegnò la matematica. Da quell’orfanotrofio si formarono: un meccanico, un amministratore, un medico, un pittore, un sarto e tre sacerdoti.
Ah! Se in tutte le famiglie ci fosse tutto questo!…
E anche nelle comunità religiose!
Ricordo una canzone di padre Zezinho:
«Che il marito e la moglie abbiano la forza di amare senza misura.
Che nessuno vada a dormire senza chiedere o dare il perdono.
Che i bambini imparino in braccio alla mamma il senso della vita.
Che la famiglia celebri la condivisione dell'abbraccio e della pace».
Sì, «Venite benedetti dal Padre mio… perché ero povero e orfano e mi avete soccorso». (Mt 25, 34-36).