Martedì 5 Aprile 1949
Circa alle ore 9 arrivo al ponte sul HUN-HO a 60 Km da Pechino. Vengo minuziosamente perquisitk, ma non mi si fa alcuna opposizione al mio procedere. Per maggiore sicurezza mi si conduce alla Questura di città KU-AN-CHENG a due Km di distanza dal fiume, ma, anche là, non trovano niente da dire. Mi fanno attendere un’ora, con la promessa di un foglio di via, ma poi mi dicono: “Vattene!” - senza darmi niente, senza nemmeno interrogarmi. Percorsi 500 metri, venni fermato dalle sentinelle della porta della città. Le mura sono diroccate e sepolte sotto la sabbia, ma la grande volta della porta esiste ancora. Nonostante le mie proteste devo attendere: i militari non si fidano della Questura. Vengo successivamente condotto dal capitano, dal maggiore, dal colonnello e dal generale. Per fortuna fecero tutti come Pilato ed io in breve mi trovai di nuovo libero. Davanti al generale però volli fare la scena di impuntarmi, esigendo un documento qualsiasi. Egli stava maneggiando caricatori e nastri di mitragliatrice, appena si degnò di guardarmi: mi pregò più volte di andarmene facendomi mille scuse. Uscii
di città che erano circa le 11. La zona sui lati del fiume, a causa delle frequenti inondazioni, è tutta sabbia per circa una dozzina di chilometri. La bufera era nel suo pieno: pochi i viandanti che tornavano dal mercato.
Un poco seguendo le indicazioni, un poco procedendo a caso, cercai di portarmi verso sud-ovest, mirando a raggiungere la ferrovia fra CHUO-CHOW e KAO-PEI-TIEN. Fui fermato più volte, fui perquisito una terza volta: sempre dai militari dislocati nei vari paesi, ma nessuno si oppose al mio andare. Tutti o quasi tutti avevano da eccepire sui visti del loro (meglio non loro) Ambasciatore a Roma, e del Console di Hong Kong: tutti o quasi tutti non volevano riconoscere come valida la carta di identità rilasciata dal Coverno Nazionale di Pechino, ma nessuno sapeva dire di preciso cosa avrei dovuto fare per essere in regola. Questo loro cieco rifiutare tutti gli atti legali antecedenti al loro avvento mi faceva un poco perplesso. Alle 19.30 ero a KAO-PEI-TIEN. Era già notte ma proseguii ancora per LY-TSUN (6 Km) valendomi del mio faro autogeno. Alle 20.45 le nostre suore mi accoglievano e mi davano un po’ di ristoro. Avevo percorso una sessantina di chilometri soltanto, ma vi assicuro che erano stati ben sudati.
Mercoledì 6 Aprile 1949
Dopo essermi ben riposato, proseguo per PING-SHANG dove stanno i miei oggetti ed il mio altarino portatile.
Giovedì 7 Aprile 1949
Proseguo per LIANG-KO-CHWANG lasciando di fianco la città di YI-HSIEN. Il mio bagaglio mi segue a dorso d’asinello.
Venerdì 8 Aprile 1949
Non c’è tempo da perdere: per le Palme voglio essere a LAYUAN dove i cristiani sono tanti. Spero di passarvi fruttuosamente le feste Pasquali. Il mio bagaglio parte di nuovo a dorso d'asino, via KOAN-TSUO-LING; io invece con la bicicletta parto, via TA-LUN-GHWA e ZE-CHIN-KWAN, seguendo la strada tracciata dai giapponesi. A TA-LUN-GHWA c’è mercato e la gente mi guarda incuriosita, ma in modo nient’affatto ostile. Sorpassato il paese, uno che veniva al mercato con il suo asinello mi si fa incontro dicendo tutto entusiasmato: “Tu sei uno di quelli di MA-MING-TAI? Sei un prete della Chiesa Cattolica?” - Io accennavo di sì con il capo, ma lui non mi lasciò il tempo di rispondergli e se ne andò gridando: “È straniero, e non sa ancora parlare, ma però ha capito quello che gli ho chiesto. La Chiesa Cattolica ritorna fra noi!” - Era un pagano che veniva da SI-KU-HSIEN e Ma Mingtai è un cristiano di quel paese che per molti anni fu il domestico di Mons. Martina. L'entusiasmo di questo pagano è l'indice dello stato d'animo di molti altri che riscontrai nel mio cammino e lo noto qui per non ripetermi troppe volte. L'incubo della nuova libertà è tale, che essi vedono il ritorno dei Missionari come un segno di tempi migliori.
Svoltando per la valle che porta alla fortezza di ZE-CHIN-KWAN, cominciano i dolori del povero ciclista. Il tracciato della strada giapponese è ottimo e non si potrebbe criticare, almeno da un profano come me. Ma la sabbia, la sabbia... il sabbione che trovai su fino al Passo, è l’annientamento completo del ciclista declassato a pedone. Io andavo all'insù, e se non fosse stato quel sasso disfatto, avrei potuto andare in sella, perché il tracciato è comodissimo. Ma incontrai uno che veniva all'ingiù, con una buonissima bicicletta; era un ufficiale carico di borse e di pistole, e anche lui doveva spingere come me. Capite? Doveva andare a piedi venendo in giù. Ad un certo punto mi rivolsi a uno di quelli che vanno con i muli e con gli asini e gli chiesi: “Ma insomma, questa sabbia da dove viene? L’avete presa dal letto del fiume per portarla qui a lisciare la strada?” - Intuendo il mio stato d’animo accennava col capo di no e con un gesto significativo disse: “Nasce qui si fa da sé” - Procedendo verso l’alto capii come quel granito, che a guardarlo sembrava dovesse sfidare i secoli con tutte le loro bufere, era invece molto poroso: d’estate si riempie d'acqua, mentre d’inverno col gran secco e col gran gelo si sgretola come la calce. La sabbia!
Quante pene mi ha date in questi miei viaggi! Se ne incontra un po’ dappertutto in queste nostre zone. Spesso le strade sono costituite dal letto dei fiumi e dei torrenti. Ebbene, sapete voi cos’è la sabbia? È la terra più vile e più traditrice che si possa immaginare. La più vile perché nessuno la vuole e se non c’è l’acqua non serve proprio a niente. La più traditrice perché mentre assomiglia all'altra terra, quando vi montate sopra con le vostre ruote gommate, o anche con le suole delle vostre scarpe, vi accorgete di essere traditi nel modo più nero. Non sembra, non appare, non ci si infanga, ma non si può procedere che con due decimi di velocità.
Mi è avvenuto più volte di paragonare il popolo cinese a questa sua terra argillosa e sabbiosa. Il popolo cinese, a dirla con termine sportivo, incassa tutti i colpi che gli sono
inflitti. Incassa, incassa sempre. Ha fatto così con i Mongoli di Kubilai ai tempi di Marco Polo (1250-1300). Ha fatto così con i Tsing dell'ultima dinastia (1600-1900). Ha fatto così con innumerevoli altri invasori che sarebbe troppo lungo ricordare. Il popolo cinese incassa tutti i colpi che gli vengono inflitti dai suoi nemici; e dopo aver incassato i colpi, incassa anche i nemici, e quando voi siete incassato... non vi resta che essere trasportato al cimitero.
Questo, al presente, è per noi un pensiero molto consolante. I nuovi invasori per questa volta sono cinesi, ma portano un pensiero che non è cinese, e sebbene impieghino tanto zelo e tante forze, cominciano ad avere il fiato grosso. Noi speriamo che arrivi anche il giorno in cui romanescamente debbano esclamare: “Non ce la famo più!”.
Sebbene avessi seguito la via più lunga fui io il primo ad oltrepassare la fortezza. Attraversato il fiume KIU-MA-HO sopra un lungo ponte di legno, lasciai lungo la strada avviso del mio passaggio. L'uomo con il mio bagaglio mi raggiunse solo al calare della notte a YU-SHAN-PU (Bottega del Monte di Giada): quattro casupole di montagna sopravanzate alle stragi e agli incendi dei giapponesi.