9 SETTEMBRE

GIUSEPPE BONOMI (sacerdote)

 

n. Trezzolano VR 28.4.1940

Professione temporanea 25.9.1957

Professione perpetua 28.4.1961

Ordinazione 10.7.1966

m. Ilhéus SP 9.9.2008 (a. 68)

 

P. Giuseppe Bonomi un missionario tutto d’un pezzo
P. Giuseppe Bonomi è improvvisamente mancato la notte tra lunedì 8 e martedì 9 settembre 2008, stroncato da un infarto a Ilhéus, Bahia, Brasile, sua ultima tappa di un cammino missionario che lo aveva portato in tutti i continenti.
Chi ha avvicinato anche una sola volta p. Giuseppe Bonomi, non l’ha più dimenticato. Era entrato ancora ragazzo tra gli Stimmatini ma anche tra i numerosi gruppi missionari della diocesi di Verona che incontrava volentieri quando rientrava in Italia. Soprattutto si sentiva legato ai volontari dell’associazione Bertoni che più di una volta erano andati ad aiutarlo nelle sue iniziative in America Latina.
P. Giuseppe era partito ancora giovane per la missione. La sua prima destinazione fu Ayamé, un povero villaggio della Costa d’Avorio dove a quel tempo (eravamo nel 1969) la chiesa non era ancora costituita. In pochi anni p. Giuseppe aveva avviato una bella comunità cristiana che avrebbe in seguito visto sorgere in quel villaggio un ospedale, due case di accoglienza per giovani studenti, l’asilo, una pouponniere per accogliere bimbi orfani o sieropositivi e tante altre opere sociali frutto della laboriosità di tante persone del posto e degli aiuti che giungevano dall’Italia.
Fu un’esperienza di soli tre anni.
Tornato in Italia perché il papà era ammalato, p. Giuseppe non tornò più in quella parte di Africa anche perché il suo stile di missionario di frontiera non era ben visto dalle autorità del posto.
Fu così che partì allora prima per Formosa, poi per la Namibia come cappellano dei cantieri di lavoro di operai italiani, esperienze che lo maturarono a ripartire per la nuova frontiera dell’America latina che aveva conosciuto quasi casualmente durante uno dei suoi viaggi per il mondo.
E qui trovò il suo posto. Fu prima in Brasile per dieci anni, poi in Cile per altri dieci anni e quindi per altri dieci anni in Paraguay. Gli ultimi due anni li passò a Ilheus, Bahia, dove sognava di avviare altre collaborazioni missionarie soprattutto con gli amici dell’abcs (l’associazione Bertoni) che erano stati a trovarlo proprio nel luglio scorso.
Ricordare p. Giuseppe non è facile perché fu un missionario che sognava sempre nuove frontiere. Avviava le comunità cristiane, le dotava di piccole strutture perché potessero ritrovarsi, celebrare e far festa, e poi ripartiva per altre località.
Quante sono state nella sua vita di missionario le comunità rurali che hanno potuto impiantarsi grazie al suo ingegno e alla sua forza di volontà. Non si fermava di fronte a nessuna difficoltà, combatteva le sette protestanti perché diceva “sono l’oppio dei nostri cattolici ancora deboli nella fede, che magari vengono plagiati dalle promesse effimere e dai soldi che giungono dal nord America!”
Moltissimi lo ricordano anche in Italia perché quando arrivava visitava regolarmente tutti gli amici, i volontari, i gruppi missionari che erano legati alla sua missione. Non si negava a nessuno e per tutti aveva un attimo di tempo e di disponibilità per raccontare quanto faceva per le sue comunità cristiane.
Viaggiava sempre in nave, aveva paura dell’aereo. Quando programmava un viaggio, andava dalla compagnia Grimaldi dove ormai era ben conosciuto e acquistava il biglietto. Diceva sempre che durante il viaggio aveva l’opportunità di predicare un po’ di Vangelo a chi viaggiava, gente solitamente poco praticante di Chiesa. E lo ascoltavano volentieri non solo perché le parole non gli mancavano ma soprattutto perché sapeva far gustare i passaggi della vita cristiana a chi poco la conosceva.
Durante le sue ferie, rigorosamente programmate durante l’estate, trovava anche il tempo per lavorare alla raccolta delle mele nella zona della Mambrotta, poco fuori Verona. “Con quello che guadagno con il mio lavoro, diceva, mi posso pagare il viaggio in nave. Perché i soldi che raccolgo dagli amici benefattori devono andare tutti per i miei poveri, non posso usarli per le mie necessità personali!”
E gli amici del gruppo missionario della Mambrotta non gli hanno mai fatto mancare la solidarietà per le tante iniziative di promozione sociale avviate nelle sue povere comunità.
Ammirevole perché il suo vestire era dimesso, il suo stile di vita sobrio, lontano dal mondo delle veline e dell’apparire a cui oggi molto spesso il mondo ci costringe. Se qualche osservazione si può fare al nostro padre missionario, dobbiamo dire che le parole non gli mancavano. Quando era presente ad una conversazione, sapeva sempre calamitare l’uditorio con le sue battute ironiche, con la sua filosofia di vita semplice ma scaltra e perspicace, con i racconti di vita delle sue comunità cristiane che non finivano mai.
Ebbe un particolare affetto per la sua famiglia, per il fratello e la cognata, per le sorelle, per i tanti nipoti che cercavano sempre in lui una parola di consiglio e una battuta capace di affrontare la vita con coraggio e fedeltà. Quella fedeltà che aveva manifestato fin da giovane quando nella lettera di domanda per essere ordinato prete scriveva al padre Provinciale di allora: “chiedo di fare il prete fino in fondo, e solo il prete! Altre soluzioni le riterrò soltanto provvisorie e di compromesso anche se dovessero durare tutta una vita”.
Grazie padre Giuseppe della tua testimonianza missionaria. Il Signore ti accolga nel suo riposo, tu che hai tanto camminato e viaggiato per le strade del mondo, riposa ora in pace! P. Lidio Zaupa

 

Invio la comunicazione pervenuta dal Brasile, e una intervista che P. Lidio Zaupa fece a P. Bonomi nel suo ultimo passaggio in Italia, prima di tornare in Brasile.

Ricordo che la salma di P. Giuseppe verrà riportata in Italia, per essere sepolta nella nostra tomba degli Stimmatini al monumentale di Verona. Celebreremo il funerale al Santuario, ma ancora non sappiamo la data del rientro.

Una preghiera. P. Livio Guerra

Pe. Giuseppe Bonomi, CSS

No dia nove de setembro de 2008, às 1.30 horas, faleceu em Ilhéus-BA, Pe. Giuseppe Bonomi que se encontrava hospitalizado por causa de infarto e problemas cardíacos. Seu corpo será transladado para a Itália e sepultamento no país natal.

Pe. Bonomi nasceu em Mizzole, distante oito quilômetros de Verona, aos 28 de abril de 1940. Fez a primeira profissão aos 25 de setembro de 1957 e a profissão perpétua aos 28 de abril de 1961. Foi ordenado sacerdote aos 10 de julho de 1966. Em 1966-67, residindo na paróquia de Santa Cruz, em Roma, estudou no colégio da Propagação da Fé.

Pe. Bonomi (2004)

Pode-se dizer que Pe. Bonomi foi um peregrino do Evangelho e um cidadão do mundo. De 1968 a 1971 desenvolveu atividades em Aboisso, Costa do Marfim. Voltando à Itália foi animador das missões (1971-1972) e ajudou na paróquia de Catania (1972-1973). Ainda em 1973 partiu para Formosa, na China nacionalista, para estar junto aos trabalhadores e prestar-lhes assistência espiritual, até 1974. Em seguida morou em Namíbia, também, com a finalidade de dar assistência aos imigrantes italianos durante os anos de 1975 e 1976.

Um primeiro reconhecimento o fez rodar por todo o Brasil antes de nele aportar oficialmente aos 23 de julho de 1977. De 1978 a 1983 exerceu o ministério em Luziânia-GO, transferindo-se a seguir para Ituaçu-BA, onde permaneceu de 1984 a 1986.

Partiu para o Chile em 1987 e ficou em Santiago, permanecendo na paróquia Divino Redentor até 1990. Como pároco da paróquia São Pio X – a primeira vez na vida que assumiu tal – viveu em El Belloto desde o mês de março 1990 a 1994. Até fevereiro de 1995 auxiliou na paróquia Divino Redentor, em Santiago do Chile.

Logo a seguir tomou o rumo do Paraguai, trabalhando na paróquia Nossa Senhora do Rosário de Villeta, onde se desdobrou de coração e alma até 2001. Foi, juntamente com Pe. Custódio José do Amaral o iniciador de nossa presença no Paraguai. Passou o ano de 2002 em Curitiba-PR, indo a seguir para a Província São José, na cidade de Palmas-TO. Voltou a Villeta (2004) e, em 2005 assumiu, como primeiro pároco estigmatino em Assunção, a paróquia Santíssima Trindade.

Em 2006, já bastante doente e cansado visitou a Itália. Mas, com o espírito aguerrido que sempre o acompanhou,

quis voltar ao ministério no Brasil, aceitando o trabalho em nossa paróquia de Ilhéus-BA, em 2007.

Como se nota por seu itinerário ministerial, Pe. Bonomi passou os períodos mais longos de atividade sacerdotal em Luziânia e Villeta, onde teve a oportunidade de por em prática seu sistema de organização paroquial: a construção de inúmeras capelas que pudessem descentralizar o ministério pastoral e oferecer aos fiéis a possibilidade de formar pequenas comunidades, fomentando através delas a unidade cristã e eclesial. Neste aspecto foi um apóstolo ardoroso e dedicado, não medindo sacrifícios para o atendimento ao povo de Deus, a qualquer hora e em qualquer circunstância.

O estilo itinerante de Pe. Bonomi não significava inquietação interior, mas o desejo de abrir caminhos em direção ao futuro com novas frentes de atividade pastoral. Por onde passou deixou sempre a marca de um caráter tranqüilo, alegre, brincalhão, sociável e amigo. Gostava de conversar com qualquer categoria de pessoa e o fazia com prazer por horas a fio. Nisso tinha muita competência, pois era lido, culto, erudito e sintonizado com vasta área do saber e das ciências. Recebera o dom de uma inteligência aguda, perspicaz, criativa e nutrida de rara fantasia. Possuía muitos argumentos pro e contra sobre qualquer tema que debatesse.

Deus, misericordioso e compassivo, o receba na alegria da morada eterna.

Cúria Provincial (Rio Claro), 9 de setembro de 2008.

 

Un missionario tutto d’un pezzo! 

P. Giuseppe Bonomi è improvvisamente mancato la notte tra lunedì e martedì 9 settembre, stroncato da un infarto a Ilheus, Bahia, Brasile, sua ultima tappa di un cammino missionario che lo aveva portato in tutti i continenti. La notizia ha raggiunto i confratelli Stimmatini e i famigliari che risiedono tra Montorio e S. Martino Buon Albergo lasciandoli sgomenti e increduli. P. Bonomi era conosciuto a Verona e non solo dai tanti volontari dell’Associazione Bertoni che in più riprese l’avevano aiutato sia in Cile, come in Paraguay e Brasile, ultime tappe del suo impegno missionario ma anche da tanti gruppi missionari che aveva conosciuto e avvicinato. Particolarmente vicino era stato al gruppo di Mambrotta dove si recava durante le sue ferie a raccogliere mele per potersi pagare il viaggio. "Perché, come diceva lui, i soldi che mi donano i benefattori sono per i miei poveri, mentre il viaggio in nave di andata e ritorno me lo devo pagare io!"

P. Bonomi era nato a Trezzolano e cresciuto a Montorio. Lo scorso anno era passato da Verona e ci aveva rilasciato una interessante intervista raccolta a quel tempo da p. Lidio Zaupa direttore del centro missionario degli Stimmatini.

 

D. Qual è stato il tuo primo campo di lavoro missionario?

Era il 1968 quando partii la prima volta per la missione della Costa d’Avorio. Tempi particolari quelli, in cui si sognava di salvare il mondo con la propria vita e si mettevano tutte le proprie forze a servizio del Regno perché ci sentivamo i salvatori del mondo.

Partivo perché mi sembrava che qui ci fosse poco spazio anche per noi preti. Mi sembrava di essere come uno dei tanti contadini migranti dell’inizio Novecento che sognavano altri orizzonti perché quelli di qui erano troppo stretti. Verona ad esempio con le sue 380 parrocchie aveva oltre mille preti in servizio mentre altrove si sentiva parlare di grande necessità di preti. Avevo capito che non era necessaria la mia presenza in questa terra: mi sono guardato attorno e mi sembrava naturale a quel tempo

partire per la Costa d’Avorio. Sono stato per tre anni ad Ayamè e furono anni bellissimi. Ero giovane e pieno di forze ed avevo scoperto che il motivo per cui l’africano vive era quello di spartire la sua felicità. Non era per accumulare un capitale ma per spartire. Infatti gli africani non vivono per accumulare ricchezze ma per accumulare amici.

 

D. Come mai ora stai in America Latina?

R. Per circostanze che non dipendevano da me, dopo tre anni sono tornato in Italia dove avevo il papà gravemente ammalato. Dopo la morte del papà c’erano difficoltà a ritornare in Costa d’Avorio perché alcuni politici del posto non gradivano la presenza di un missionario che aveva qualche volta alzato la voce per denunciare la corruzione galoppante.

Dopo una piccola parentesi al servizio dei migranti (sono stato cappellano in campi di lavoro a Formosa e in Namibia) mi sono aperto all’America del Sud dove sono giunto nel 1977, precisamente a Luziânia, in Goiás. Siamo riusciti come parrocchia a recuperare un intero lotto di terreno, circa 10.000 mq, per le opere sociali e religiose della comunità. Abbiamo iniziato la costruzione del Centro comunitario, della chiesa e la casa delle suore. La loro presenza nel barrio del Fumal, dove oggi si trova una casa dei meninos de rua (bambini strappati alla strada che hanno trovato qui affetto e possibilità di una vita dignitosa), è stata provvidenziale. Visitavano casa per casa i poveri, si facevano carico di tanti drammi della povera gente, accoglievano in casa i bambini, facevano scuola per vivere.

 

D. Dopo il Brasile, per dove sei partito?

R. Dopo dieci anni di Brasile, i superiori mi chiesero di partire per il Cile. C’era bisogno di rinforzare la presenza stimmatina in quel paese e partii per Santiago per dare una mano nella parrocchia del Divino Redentore che contava allora oltre 100.000 fedeli. Da quella parrocchia poi sono nate ben cinque parrocchie. Poi fui nominato parroco nella parrocchia di S. Pio X° a Belloto, una cittadina che si trova tra Santiago e Vigna del Mar.

Ho continuato con lo stesso entusiasmo nella missione di creare infrastrutture alla parrocchia però mi sembrava di essere in Italia perché il mondo cileno per molti versi assomiglia al mondo europeo. Qui ho imparato la disciplina e l’efficienza dei cileni, l’amore alla cultura ed ho avuto anche un po’ di tempo da dedicare alla mia formazione, un lusso proibito in Brasile e in Africa dove gli impegni sono sempre tantissimi. Forse era anche il clima a favorire lo studio.

Mi sentivo tuttavia irrequieto perché cercavo nella mia fantasia il tipico spazio missionario favorito anche da un clima tropicale. Ecco profilarsi all’orizzonte una nuova fondazione, quella del Paraguay. Quando si è presentata l’occasione mi sono buttato a capofitto.

 

D. È stata una bella idea aprire il Paraguay?

R. Era il 1995 quando giunsi in Paraguay e devo dire che è stata una bella idea aprirsi a questo paese perché si è mostrata una missione feconda di opere sociali, apostoliche e anche di molte vocazioni.

La prima impressione fu la ricchezza e varietà della religiosità popolare che si manifestava soprattutto nelle novene dei santi e dei defunti. È una religiosità quella del popolo paraguagio dove non è necessario il prete per gestirla tanto è radicata nell’animo della gente. Sono

autonomi in questo senso per cui la mia prima preoccupazione fu quella di impiantare la Bibbia, senza tuttavia distruggere la ricchezza di una religiosità popolare. Questa prudenza me l’aveva insegnata il Brasile che con il radicalismo della sua teologia della liberazione aveva avuto troppa fretta di liberarsi di riti, cerimonie, devozioni che aiutavano i fedeli nel mantenersi cattolici. Forse è per questo che le sette protestanti hanno avuto in Brasile un grande spazio per appropriarsi di circa il 30% dei cattolici.

In Paraguay questo fenomeno non poteva prendere piede perché questo paese è chiuso, difeso anche dalla sua lingua, il Guaranì, una delle pochissime lingue indigene ancora parlate in America Latina. Non ha avuto il fenomeno della teologia della liberazione che ha spazzato via tutto. Il Paraguay con poca cultura biblica, si dichiara cattolico per il 95%. Molte delle mie Bibbie sono state assorbite nel santuario domestico, una nicchia di legno che si trova in ogni famiglia con porte e due finestre dove vengono messi i santi Protettori. Accanto ai santi, ora in molte case ha trovato posto anche la Bibbia che io avevo donato. Questo contatto con i santi e con le anime dei defunti per il popolo del Paraguay è tanto naturale e spontaneo che ai santi vengono messi i vestiti, i capelli. I riti della vestizioni di un santo sono ricchi di folclore. Ad esempio sulla banconota più grande, i centomila guaranì, campeggia un santo, San Rocco Gonzales, martire del 1600. Cose impensabili in Europa. 

D. Ed ora a Ilhéus, Bahia, come mai?

R. Nel nostro campo, quando ti chiedono un servizio, non devi domandarti il perché. Si prende e si va. Ad Ilheus ho ritrovato il popolo brasiliano a cui mi ero molto affezionato perché è un popolo meraviglioso, semplice e credente, che prende sul serio il Vangelo. Qui ho avviato anche una bella casa di accoglienza che con l’aiuto dei volontari laici dell’associazione Bertoni ha preso vita in riva all’Oceano Atlantico. Sogno un giorno di riempire questa casa di volontari italiani e di agenti di pastorale brasiliani che insieme possano condurre avanti la parrocchia stimmatina di Ilhéus: che sia solo un sogno?

 

In memoria di un amico missionario, p. Giuseppe Bonomi

 

Non pensavamo caro Bepi, di accoglierti così presto in questo santuario che tu ben conoscevi perché l’avevi visto crescere pietra dopo pietra quando eri giovane studente che ti preparavi a diventare religioso e prete tra gli stimmatini e studiavi nella scuola apostolica proprio qui sotto. Già a quel tempo eri un tipo un po’ particolare perché non ti accontentavi solo di quello che dicevano o ti volevano far fare i superiori: tu volevi sempre conoscere il perché delle cose, ragionarci sopra, discutere e quando vedevi le buone ragioni di una scelta, allora non c’erano più tentennamenti. Come quella volta in cui i superiori hanno pensato di far slittare la tua ordinazione sacerdotale perché i rapporti con loro erano spesso conflittuali. Nella tua domanda al padre provinciale di allora per diventare prete, hai scritto qualcosa di grande che resta indelebile: “La sacra ordinazione non è semplicemente un rito e tanto meno una bella pratica di devozione ma è un impegno apostolico verso i fratelli di cui ci sarà chiesto strettissimo conto da quel Padrone della parabola che ha l’abitudine di “recipere cum usura…” mietendo dove non aveva seminato…. Chiedo di fare il prete fino in fondo e solo il prete; altre soluzioni le riterrò soltanto provvisorie e di compromesso anche se dovessero durare tutta una vita, e di esse chiedo di non dover rispondere a Dio!”

Tu sei sempre stato così, apostolo nel cuore, nella mente e nella vita. Non c’erano frontiere che potevano frenare il tuo entusiasmo missionario, superiori che potessero innalzare barriere per deviare la tua passione apostolica per gli ultimi e per i diseredati. Tu hai voluto adottare i poveri fino in fondo, spalancare loro le porte, farli sentire parte della tua famiglia.

Fin dall’inizio quando sei stato catapultato in Africa, in Costa d’Avorio, ad Ayamé dove oggi sorgono tante belle strutture di accoglienza per i giovani studenti e centri sanitari per curare le tipiche malattie africane che uccidono ancora tante vittime innocenti. A quel tempo  tu eri la voce del Vangelo che percorreva i villaggi della laguna, il dottore della brousse che curava ogni sorta di malattie, l’avvocato dei poveri che cercavano qualcuno che si facesse carico dei loro problemi e delle loro disgrazie. Sei stato troppo poco con loro e forse hai alzato troppo la voce se è vero che dopo tre anni, tornato in Italia perché papà Pellegrino stava male, non ti hanno più voluto in Africa. Non i poveri, dei quali eri punto di riferimento costante, ma alcuni potenti locali che vedevano intralciati i loro affari da questa voce che si alzava profeticamente a denunciare corruzione e sopraffazioni.

Fu così che hai iniziato un altro capitolo molto particolare, certamente fuori dai canoni e dagli schemi usuali anche della missione e fu quello di cappellano nei cantieri prima di Formosa poi nella Namibia. Ma anche qui l’avventura ebbe tempi stretti da quando ti eri messo ad organizzare lo sciopero dei lavoratori perché le loro paghe non bastavano alle famiglie e i diritti di una vita dignitosa venivano calpestati. Fosti licenziato in tronco e fu quella l’occasione per tornare in Italia passando prima dal Brasile e poi dal nord America. Tu avevi il vademecum di tutte le comunità stimmatine presenti nel mondo e non ti fu difficile, con la lingua che ti ritrovavi e la voglia di conoscere altri mondi, visitare tutte le comunità latino americane e poi nord americane. Fu allora che nacque la tua vocazione per l’America latina. Soprattutto la visita al nord est brasiliano ti rimase dentro e sentivi che c’era qualcosa di importante che ti aspettava. Era il 1977 quando sei partito per il Brasile, per Luziânia prima, per il nord est poi. E qui hai trovato proprio quello che combaciava anche con i piani dei superiori: parroco e missionario di cappelle rurali che si moltiplicavano dovunque tu passavi. E facevi presto a dotarle di un salone parrocchiale per gli incontri e le feste, di un semplice alloggio per il Padre, una cappella per le celebrazioni. Lo facevi perché vedevi come le sette dei protestanti ti rubavano i cattolici, con tanti mezzi e tante parole che suggestionavano menti troppo deboli che le facevano cambiare strada per andare alla chiesa avventista del settimo dia o simili…

E dopo il Brasile ci fu il Cile, per un’altra decina di anni, anche qui parroco a Belloto e poi nella grande parrocchia del Divino Redentore a Santiago. Qui ti sei scoperto anche architetto, capomastro e tutto fare. C’era da rimettere in piedi la grande facciata della chiesa e di sistemare quanto c’era attorno alla chiesa, le opere parrocchiali. E con i pochi mezzi che ti ritrovavi hai iniziato, senza scoraggiarti di fronte alle difficoltà. Poi è arrivato il tempo del Paraguay dove ti ho incontrato nella grande chiesa della Santissima Trinità ad Asunción. Prima eri stato a Villeta, dove ti avevano accompagnato i tuoi parrocchiani cileni in un viaggio in bus attraverso le Ande che rimase epico.

Ed infine eccoti a Ilhéus, la tua ultima tappa in America latina, in quella Bahia che tanto avevi amato, in riva all’Oceano dove ti sedevi talvolta per ascoltarne la voce e i sussurri che ti portavano le onde. Sembrerebbe la vita infinita di un missionario che ha campato 100 anni. Invece ti sei spento improvvisamente ad appena 68 anni. Ma la tua missione era compiuta.

"Quanto a me… è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione". (2 Timoteo cap. 4)

Sono in tanti oggi qui a piangerti. I tuoi familiari a cui eri così profondamente legato che ti aiutavano ad operare scelte sempre libere, gli amici della Mambrotta dove trovavi sempre tanta accoglienza e serenità raccogliendo le mele e parlando di missione al gruppo che ti ha sempre mostrato grande solidarietà, ai tuoi confratelli che ti ascoltavano sempre volentieri perché ogni volta avevi avventure sempre nuove da raccontare, ai tanti benefattori che ti sei creato e che restano orfani, agli amici dell’abcs che ti hanno visitato, aiutato nelle tue iniziative in questi anni, ai quali avevi consegnato il sogno della tua casa in riva all’Oceano: la volevi la casa dell’abcs così potevano venire ad aiutarti e a fare un po’ di vacanze al mare. Quanti progetti, quanti sogni, quante attese… Ora restiamo un po’ soli senza di te ma ringraziamo il Signore di averci donato un missionario che ha saputo annunciare a tempo opportuno e inopportuno la sua Parola, che non si è tirato indietro di fronte alle difficoltà di ogni genere e che oggi è tornato tra noi per l’ultimo saluto.

Riposa in pace padre Bonomi, il Signore ti accoglie come servo buono e fedele che ha messo a frutto i tanti talenti che ti ha dato. P. Lidio Zaupa 

 

 

 

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