LE ULTIME BATTAGLIE
2106 Dunque, ora che i nemici sono stati messi in fuga ed hanno deposto le armi, potrà egli godere tranquillamente del suo fondo? Piano, piano!
Se l’esercito dell’avversario è in fuga ed il popolo si sottomette, i nemici però non sono eliminati; e se lo fossero quelli di ieri, non lo sono quelli di domani.
Il conquistatore vittorioso, che ha già respinto gli eserciti nemici; che ha conquistato il campo e presa la fortezza, se non avrà sbaragliato e disperso le fila disordinate ed i nuclei dei nemici, vedrà presto riunirsi i fuggiaschi e i vinti per formare un nuovo esercito, reso più efficiente dall’esperienza della propria sconfitta e ingaggiare una battaglia più dura; e se anzi non si tolgono di mezzo i residui e le radici dell’odio e della divisione tra popoli e nazioni, in modo da sopprimere l’ira e l’amarezza in virtù della forza e della gloria del capitano, una volta morto quest’ultimo e smobilitato l’esercito, torneranno prima i tumulti, poi le sedizioni e le guerre aperte a contrastare e ad eliminare la tranquillità e la durata del regno. Così pure il nostro eroe per stabilizzare e rendere durevole la sua conquista deve dissipare e disperdere ogni residuo di superstizione diabolica e sradicare e distruggere tutte le radici dell’errore empio.
“Ecco, oggi stesso ti stabilisco sopra le nazioni e sopra i regni per sradicare e demolire, per abbattere e distruggere, per edificare e piantare”.
2107 Se il paganesimo era stato scacciato da Verona, parve rifugiarsi tutto nelle campagne, dove continuava a dominare. Se nella città erano chiusi i templi al demonio, nei poderi, nelle ville, nei campi e nei colli vi era un gran numero di tempietti e di are e dappertutto si bruciavano gli incensi.
Una grossa responsabilità la portava l’avarizia dei ricchi che permetteva il culto impuro, mentre sarebbe stato possibile estirpare l’empia superstizione dall’animo dei contadini demolendo quei tempietti. Anche l’avidità di quei signori concorreva a tenerli in piedi, perché così mantenevano i loro diritti anche davanti ai tribunali. E a mantenerne la venerazione e la frequentazione intervenivano la superstizione e l’avidità dei contadini i quali speravano ogni prosperità, se avessero placato i loro numi.
2108 Inoltre i cittadini, ora cristiani, dalle loro pratiche pagane avevano contratto usi e costumi non solo imperfetti ma a volte addirittura viziosi. Da lì venivano gli abusi delle agapi. Erano queste delle riunioni di carità che nella cristianità primitiva erano predisposte in aiuto dei poveri ed in onore dei martiri; queste riunioni, fuorviate facilmente a causa delle vecchie abitudini del popolo, finivano con l’essere macchiate da riti pagani, orge immonde e altre sporcizie.
Fra gli avanzi del paganesimo c’erano anche l’avversione e la ripugnanza al celibato, alla castità vedovile, alla verginità, tanto che chiunque sconsigliasse le nozze per amore della virtù veniva considerato nemico del bene pubblico, se non addirittura pazzo.
2109 E non dovevano essere meno colpevoli, anche se più nascoste, le radici che aveva lasciato l’eresia, pur recisa ed estirpata.
Dopo le scosse violente e le grandi trasformazioni, restano in vita per qualche tempo e a volte a lungo molte delle vecchie abitudini ed inclinazioni che mostrano la tendenza naturale a restaurare lo stato primitivo e la difficoltà di adattarsi prontamente al nuovo. Nello stesso modo, dopo la tempesta, il mare continua a spumeggiare; le rivoluzioni politiche lasciano sospetto e voglia di vendetta; e le malattie mortali lasciano gli inconvenienti di una lunga convalescenza. E così dopo che una eresia ha serpeggiato nel popolo e si è diffusa ampiamente tutto intorno ed ha dominato per un lungo periodo, restano molte tracce e conseguenze di quel contagio.
Nella mente: indocilità, curiosità, vanità che vuol filosofare, sofisticare e che esige giustificazioni per ogni cosa; resta la tendenza dell’eretico a credere più a se stesso che a Dio.
Nel cuore: freddezza, insensibilità verso gli altri, smisurato amor proprio, perché l’eresia ha sostituito alla vera carità di Dio un amore naturale, filosofico, apparente.