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Progettazione
della Scuola Apostolica
e del Santuario
P. Fantozzi, nel suo entusiasmo e nella sua voglia di fare, non si limitava solo a cercare la sede per il nuovo Santuario, ma lo progettava nella sua mente, fino ad arrivare ad un concreto disegno. Ricordo che nell’estate del 1946, ad Affi, mi presentò un progetto da lui redatto. Era a pianta circolare, con sacrestia, penitenzierie, dimora per pellegrini, ecc. Mi spiegava: «Qui ci va questo, là ci va quello». Io mi permisi di dirgli: «Ma non è meglio lasciare tutto ciò alla competenza dell’architetto?». Mi rispose: «Agli architetti e agli ingegneri dobbiamo dare noi le idee».
Fin dai primi tempi della sua venuta a Verona si era incontrato con l’ing. Bonomi da Monte, suo amico di vecchia data, del quale aveva grande stima. L’ingegnere Bonomi da Monte aveva progettato e realizzato (o stava ancora lavorando alla realizzazione) dell’imponente edificio della Casa Madre delle Sorelle della Misericordia, di via Valverde, in Verona. Le conversazioni con lui non dovevano limitarsi a comunicazioni o a sfoghi, ad "utopie", ma dovevano essere scese al concreto fino a proporgli di progettare e costruire il Santuario. Niente di scritto, niente di definito e niente di comunicato ai superiori, i quali erano completamente all’oscuro della cosa.
Quando, finita la serie delle ricerche, si puntò su s. Leonardo venne fuori il discorso a chi affidare la progettazione. P. Fantozzi allora fece sapere onestamente che aveva degli impegni morali con l’ing. Bonomi da Monte, e che lo riteneva adatto. Invece il pensiero del prof. Gazzola era totalmente opposto: non lo riteneva all’altezza di un progetto di questo tipo. L’edificio di via Valverde – messo in campo da padre Fantozzi – era per Gazzola, "uno sgorbio". Dello stesso parere, anche se meno drastico, era pure l’ing. Loredan. Non era né prudente né saggio, dopo aver evitato le forche caudine dell’arch. Vincita, mettersi nelle mani di un altro professionista che avrebbe avuto la medesima sorte, cioè la bocciatura del progetto da parte della Commissione Pontificia per l’arte sacra. P. Fantozzi, a poco a poco, si convinse.
Il prof. Gazzola propose come progettista l’arch. Paolo Rossi de’ Paoli. Questi era di origine veronese, residente a Roma, stimato dalla Pontificia Commissione. Aveva l’incarico della ricostruzione del duomo di Benevento, ed anche il vescovo di Verona l’aveva scelto per la costruzione del Tempio Votivo di fronte alla stazione di Porta Nuova. Aveva anche il vantaggio di esercitare la sua professione fuori Verona, e quindi la scelta non sarebbe stata ritenuta un’umiliazione dagli architetti della città. Se ne parlò e trattò in Consiglio provinciale, si mise al corrente il p. Generale, e si pervenne alla decisione di affidare l’incarico della progettazione dei due complessi edilizi, cioè Scuola Apostolica e Santuario, all’arch. Paolo Rossi de’ Paoli.
Fu in quell’occasione che p. Cervini, ferrato in diritto, ci lesse e commentò le direttive che la Pontificia Commissione aveva emanate per la costruzione e ricostruzione degli edifici sacri. I responsabili erano esortati a erigere luoghi di culto liturgicamente funzionali, artisticamente belli e ampli senza lasciarsi condizionare dalla necessità immediata. Inoltre di scegliere dei professionisti qualificati senza indulgere a simpatie personali o sperare in illusorie economie. Tanto, la parcella è eguale per il professionista di grido, che per il mediocre.
Come fare con l’ing. Bonomi da Monte, verso il quale p. Fantozzi si sentiva obbligato?
Venne deciso, dopo alcune riunioni, di comunicare a lui che – per decisione superiore – l’incarico della progettazione veniva affidato ad un professionista di Roma. L’Istituto ringraziava per l’appoggio dato da lui a p. Fantozzi, ed era disposto a riconoscere le sue prestazioni professionali. Per togliere poi a p. Fantozzi l’imbarazzo e l’umiliazione di disdire quanto aveva fatto e promesso, Gazzola consigliò di incaricare p. Cappellina – che sarei io! – a compiere l’incresciosa ambasciata. Ero il più giovane ed inesperto, perciò il più indicato, sia per non entrare in apprezzamenti o in particolari tecnici, sia per non sembrare che si dava alla cosa grande importanza.
P. Fantozzi invitò l’ing. Bonomi da Monte ad un incontro, nella sede di Sezano. Non ricordo la data, ma penso avvenisse nel mese di giugno 1951, quando egli soggiornava in quella casa per riprendersi in salute, ed io ero superiore della comunità.
P. Fantozzi accolse l’ingegnere, gli parlò del più e del meno, poi lo condusse nel mio studio, là in fondo alla loggia, per comunicazioni e rimase presente a tutto il colloquio. Io ero imbarazzato e richiamavo alla memoria le istruzioni ricevute, parlando dimessamente, ma deciso. Ecco il succo: «I Superiori di Verona, d’accordo con quelli di Roma, hanno voluto prendere nelle loro mani tutto il problema della ricostruzione, e non lasciarlo a p. Fantozzi, come è avvenuto finora. Dopo lunghe consultazioni hanno deciso di affidare la progettazione dei due complessi – Scuola Apostolica e Santuario – ad un architetto di Roma, dove le pratiche devono necessariamente essere trasmesse per ottenerne l’approvazione.
Eventuali promesse o impegni che p. Fantozzi avesse presi con lei sgorgavano dal suo entusiasmo e dal desiderio di veder subito realizzato il suo sogno, senza tener presente la complessità della situazione. Siamo perciò profondamente grati per l’appoggio morale dato a p. Fantozzi. Per quanto riguarda le sue prestazioni professionali, i Superiori la pregano di esporre le spese sostenute e l’opera prestata, perché è giusto che siano riconosciute».
L’ingegnere rimase stupito, chiese qualche spiegazione che io non sapevo o non potevo dare. P. Fantozzi, addolorato e compunto, disse: «Oramai io sono vecchio, vedo di non farcela più. I Superiori si prendono la piena responsabilità: quindi non c’entro più nelle decisioni».
L’ingegnere Bonomi da Monte si mostrò vero gentiluomo. Assai corretto nelle parole e nel comportamento: mostrò solo segni di dolore e disappunto. Nessuno scatto, nessuna recriminazione.
P. Fantozzi lo accompagnò da solo lungo la loggia e fino alla macchina, parlando con il suo gran cuore. Anche in questo caso il cuore ha delle ragioni che la mente non conosce.
L’ingegnere fece sapere, sempre tramite p. Fantozzi di cui rimase sempre affezionato amico, che non chiedeva nulla per le sue prestazioni, che tutto egli aveva fatto per lui e la Madonna.
Architetto Paolo Rossi De’ Paoli
Era figlio di un professore veronese, che fu pure docente all’università di Bologna e divenne anche senatore del Regno, penso, prima del fascismo. Per questo motivo si spiega che il bimbo Paolo nascesse a Bologna e che poi dimorasse a Roma. Compì parte dei suoi studi a Domodossola presso i padri Rosminiani, dei quali conservò sempre un buon ricordo, e per essi prestò pure la sua opera di architetto nella ristrutturazione del complesso edilizio a s. Giovanni davanti la Porta Latina, in Roma.
Quando lo conoscemmo – o ce lo fecero conoscere – era celibe e viveva con la madre anziana. Passava ogni anno un periodo di tempo nella villa paterna di Quinto Valpantena, vicino alla chiesa parrocchiale; villa che poi vendette (molto malvolentieri!) al CEIS, come sede per il ricupero dei tossicodipendenti. Dopo la morte della madre si sposò ed ebbe una figlia, Laura. Visse a Roma e d’estate andava in una villetta a Positano, nella costiera amalfitana, villetta acquistata per volontà della moglie, in cambio di quella venduta. Non so con precisione dove e quando morì, a causa di un tumore. Parte della sua abitazione di Roma, in Piazza Argentina, (precisamente, Via s. Nicola de’ Cesarini 2, fu ceduta allo scultore Di Colbertaldo il quale vi trasferì il suo studio, che aveva prima in via s. Nicola da Tolentino.
L’architetto Rossi de’ Paoli fu presentato a noi da Gazzola come l’uomo più adatto in quel momento. Professionista serio, impegnato, all’altezza della situazione, stimato a Roma presso la Commissione per l’Arte Sacra e presso il Ministero dei Lavori Pubblici. In quello stesso tempo aveva l’incarico della progettazione e costruzione del Tempio Votivo a Verona. Progettazione che probabilmente (o quasi sicuramente) fu suggerita al Vescovo dal medesimo prof. Gazzola.
A lui venne dato quindi l’incarico ufficiale di progettare ed eseguire l’edificio della Scuola Apostolica e la ricostruzione del Santuario della Madonna di Lourdes.
La Scuola Apostolica o seminario religioso degli Stimmatini.
Giustamente p. Fantozzi affermava che le idee ai professionisti, le dobbiamo dare noi; non dobbiamo tuttavia imporre loro i nostri gusti personali nello stile architettonico e nella composizione. Venne dunque fissato un incontro tra il Consiglio provinciale, padre Fantozzi, l’ing. Loredan, insieme all’Architetto. Esponemmo a lui che cosa volevamo realizzare, indicammo il numero di persone che l’edificio doveva contenere, i diversi cicli educativi di ragazzi e giovani studenti da ospitare: insomma una comunità numerosa e complessa.
L’edificio doveva snodasi in tre blocchi, distinti ma intercomunicanti, destinati ad accogliere: gli aspiranti, i chierici (professi) e i padri. Perciò, tre refettori distinti attorno al locale cucina, la cappella comune, e l’infermeria. Tre entrate separate, chiostri per i singoli gruppi, laboratori, garage nello scantinato, ecc.
Non furono previsti gli ascensori perché, oltre al costo e all’uso poco corretto che ne potevano fare i ragazzi, gli "abitanti" del seminario erano tutti giovani. Non venne preso in considerazione l’alloggio per le suore, perché era già previsto che loro dimora fosse la casetta di d. Dall’acqua.
Quanto al materiale da usare per il nuovo edificio, tutti d’accordo: furono scelti materiali tradizionali, cioè pietra di tufo di Avesa-Quinzano.
Quando l’Architetto inviò da Roma il progetto di massima, ci si rimise al lavoro per studiarlo. Non ricordo tutti i rilievi fatti, ma ho ben presente due modifiche che volevamo fossero apportate: la prima quella di ridurre di quattro o cinque metri la lunghezza dell’edificio, perché ci sembrava superiore alle esigenze della comunità, e per abbassare il preventivo di spesa; la seconda chiedeva all’architetto di modificare l’architettura della cappella, specialmente della facciata – che non aveva incontrato affatto il consenso – e destava perplessità per la copertura a terrazza.
L’architetto accolse la prima osservazione ma non aderì alla seconda. Egli riteneva che l’architettura della cappella fosse intonata al resto dell’edificio. La terrazza che copriva la cappella, egli la vedeva come sfogo per gli ammalati dell’attigua infermeria.
Il prof. Gazzola si preoccupava dell’ubicazione dell’edificio destinato alla Scuola Apostolica, perché la sua mole non fosse troppo visibile dalla città, specie dal centro storico. Questo per sensibilità personale, attenta ai valori dell’arte, del paesaggio, della storia ed anche per evitare eventuali critiche o malumori da parte della città.
Fece allestire una incastellatura, con tubi di ponteggio, sul punto estremo del futuro edificio, verso la città – una specie di sagoma – che rispecchiava l’altezza, la larghezza e il luogo dove doveva sorgere l’edificio. Poi, insieme all’architetto, a funzionari della Soprintendenza, all’ingegnere Loredan si portò in città, specie nei punti più strategici, – come ponti e lungadige – al fine di rendersi conto dell’impatto che il complesso avrebbe recato al paesaggio. La sagoma rimase in piedi per parecchi giorni, e le visite di ispezione vennero effettuate in diverse ore del giorno. Alla fine si concluse di arretrare l’edificio di alcuni metri, perché fosse meno visibile dalla città. Gazzola inoltre, consigliò a Rossi de’ Paoli di collocare degli alberi a sud e a ovest, in modo da mimetizzare il complesso edilizio e di conservare la linea ascendente della collina, senza sbalzi, fino alla cima. Ciò che abbiamo puntualmente eseguito, col piantare su disegno dell’architetto, dei cipressi intercalati da pioppi, (populus alta) e attuando – per nostra vocazione! – il successivo rimboschimento della zona.
L’arretramento dell’edificio (di cinque o sei metri) veniva a creare un inconveniente non trascurabile, cioè quello di privarci di quasi tutta l’area acquistata dai sig. Gerard, perché veniva a cadere quasi a confine della loro rimanente proprietà. Facemmo richiesta di poter acquistare ancora almeno una striscia del loro terreno, per poter realizzare una strada conveniente attorno all’edificio. Ma furono sordi e non concessero più neppure un centimetro del loro terreno.
Il Santuario
Qui occorre invocare l’aiuto dell’Immacolata, perché fu proprio il suo Santuario il centro di questa ricostruzione.
L’architetto Rossi de’ Paoli affermava che la progettazione del Santuario gli costò molto tempo e riflessione. C’erano troppe cose da coordinare e condurre ad unità. E la responsabilità era grande: per la posizione sopra la collina, per l’edificio storico (forte) da trasformare, per l’attesa, carica di incognite, della città. Tuttavia si mise anche con una certa voluttà, perché – è sempre sua affermazione – preferiva affrontare progetti che presentavano problemi da risolvere, piuttosto che creare opere totalmente da inventare.
Non ho fatto studi né ricerche, sulla nascita del forte s. Leonardo. Fu costruito (o almeno terminato) nell’anno 1838, regnando l’imperatore d’Austria Ferdinando, la cui moglie, Maria Anna di Savoia, ebbe per confessore il padre stimmatino Luigi Bragato. Né ho competenza per dare valutazioni architettoniche e tanto meno strategiche su edifici militari. Mi pare di poter dire – da profano – che il forte s. Leonardo non aveva una struttura "caratteristica", come quello di s. Sofia. L’insieme pareva piuttosto una bicocca, senza originalità e unità.
L’Architetto poteva agire sul forte come meglio gli pareva, anche demolirlo interamente. Invece preferì ritenere gli elementi più significativi, sia per motivi architettonici sia per renderne più visibile il valore morale, cioè che uno strumento creato per la guerra diventava luogo di pace e di orazione.
P. Fantozzi raccomandava che si ricavasse un grande piazzale, da poter contenere centomila persone, sull’esempio di Montmartre a Parigi. Ma l’area era quella che era.
Altro desiderio di p. Fantozzi (quasi idea fissa!) era quello di creare all’interno della chiesa la grotta di Lourdes. Ma la cosa risultava impossibile perché il sacro edificio doveva avere forma circolare, sia per seguire la linea del colle, sia per armonizzarsi con gli edifici militari che occupano la sommità dei colli vicini, santa Sofia, Torricelle, che sono appunto a pianta circolare. Tuttavia il desiderio di p. Fantozzi stimolò la creatività dell’architetto il quale, nel progettare l’edificio sacro, si preoccupò di rendere visibile la grotta anche dall’interno del Santuario, attraverso una grande vetrata. E questa fu una felice intuizione, una vera "ispirazione", gradita a p. Fantozzi ed ammirata da tutti i visitatori. Le due rampe laterali che salgono ad una "piazzetta", dove in origine erano collocati i cannoni, sembravano fatte apposta per salire alla grotta, proprio ai piedi della Vergine Immacolata, dove i pellegrini e i malati possono sostare in raccoglimento e preghiera.
Non vennero dati altri suggerimenti all’Architetto, ma si lasciò spazio alla sua creatività. Del resto era condizionato da molti "punti fissi". Egli concepì il sacro edificio su due piani sovrapposti: l’inferiore da usare come cripta, il superiore come Santuario vero e proprio. Ciò avrebbe permesso di tenere contemporaneamente funzioni religiose per diversi gruppi di pellegrini. Come avviene a Lourdes, sebbene in proporzioni ben diverse!
Nella parte superiore del Santuario, le due ali preesistenti del forte vennero trasformate in cappelle laterali, ampliando la capienza dell’aula, e da utilizzare per servizi particolari.
Per la forma architettonica del tempio, Rossi de’ Paoli tenne presente due criteri fondamentali: il Santuario nasceva su un edificio preesistente, cioè un forte militare, e sorgeva in Verona, città che ha un volto sostanzialmente sanmicheliano. Dal primo criterio fece derivare il carattere massiccio, imponente della struttura, che del resto doveva "sposarsi" con le parti superstiti dell’ex forte. Dal secondo criterio nacque il porticato solenne dell’ingresso, sopra la scalinata, come avviene nella chiesa-santuario della Madonna della Pace, a S. Michele Extra.
L’Architetto inoltre aveva previsto una specie di balconata, sul muro del piazzale prospiciente la città, allo scopo di creare una zona raccolta all’interno, e nello stesso tempo di inquadrare il panorama della città come attraverso delle finestre. Non fu realizzato, per volere della Commissione Edilizia Comunale.
Per la viabilità – macchine e gruppi consistenti di pellegrini, problema critico per questo Santuario – l’architetto aveva previsto l’apertura di due fornici nel muro del forte, poi effettivamente realizzati. Le macchine provenienti dalla strada dovevano entrare nel piazzale, volgere a destra, passare sotto la piazzetta della grotta, per uscire dal secondo fornice e proseguire all’esterno, costeggiare il muro del terrapieno del piazzale, per riuscire sulla strada di accesso. Nel contempo pensava di innalzare il piazzale di un gradino, creando così uno "spazio pedonale" riservato ai soli fedeli. Ciò non venne realizzato: si imporrà un domani?
Il progetto – manco a dirlo – venne immediatamente approvato dalla Commissione pontificia per l’arte sacra, con nota che porta la data del 2 marzo 1950. In essa si dice: «La Commissione Pontificia è favorevole alla realizzazione del bel progetto, ove non ostino ragioni storiche ed urbanistiche all’occupazione del bastione». P. Cervini, sempre arguto di spirito, commentava: «Che cosa vuol dire bello? Non è riuscita la Commissione a trovare un aggettivo più appropriato e più bello?».