L’OCCHIO SINISTRO

Quando mio fratello Aldo e mia cognata Carmen vennero in Brasile, ospiti qui a Barretos, andammo a visitare la Città di Maria, il centro di spiritualità in cui vivono suore di sei congregazioni religiose, e l’edificio per le riunioni e per i ritiri dei sacerdoti anche di altre Diocesi. Ci fermammo dalle suore dell’Azione Parrocchiale per partecipare ad un rinfresco.

Tra una parola e l’altra mia cognata mi parlò in un orecchio: «Guarda, Graziano, quant’è carina quella suora!».

Io immediatamente risposi che non l’avevo notata. Tutto bene. Ma una volta in città vidi due ragazze molto carine e dissi: «Carmen, guarda là che bellezze!». Risposta istantanea: «Ah! Adesso le nota molto bene questo mio cognato!». Mio fratello scoppiò in una risata.

Ma a proposito della mia vista, in parte è vero. Di fatto con l’occhio destro vedo molto bene, ma con quello sinistro no.

E ricordai tutta la storia della mia vista, da quando entrai in seminario, settembre 1951, fui portato dai migliori oculisti. «È congenito; niente da fare», dicevano tutti. Quasi non potevo diventare prete, perché a quell’epoca durante la celebrazione della s. Messa bisognava restare diritti e leggere solo con l’occhio sinistro.

Grazie alla saggezza dei superiori, superai anche questa prova.

“La legge deve servire alla persona”, come Gesù disse sulla legge del sabato in Marco 2,27: “Diceva loro: Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”.

Altra difficoltà: non volevo diventare prete perché ero stonato e non sapevo cantare e nemmeno suonare, quando la musica era molto esigente nelle celebrazioni liturgiche. Nuovamente la saggezza dei superiori, spe­cial­mente del mio direttore spirituale, mi guidò nel cammino.

Mi si presentò la parabola dei talenti che Dio ci affida per valorizzarli. Non è necessario averne 10 o 5 o 2, bisogna realmente valorizzare quelli ricevuti e farli fruttificare per il regno di Dio.

“Allora molto bene, servo buono e fedele… entra nella gioia del tuo Signore”.

Non andiamo a ricordare cosa successe a colui che ricevette un talento e non lo valorizzò (Mt 25, 14-25 e Lc 19, 15-25).

     Signore, che io sia un servo fedele e buono.