Capitolo V
SACERDOTE DIOCESANO
La vita sacerdotale del Bertoni ebbe una estensione di 53 anni. Per non prendere abbaglio sulla sua figura, e per non vederlo unicamente in funzione di Fondatore di un istituto religioso, è bene ricordare che i primi 16 anni di quei 53 anni li trascorse disimpegnando vari incarichi sotto l'obbedienza del suo vescovo. I restanti poi, sebbene li passò raccolto con alcuni compagni presso l'Oratorio delle Stimate, impegnato principalmente nell'opera delle scuole gratuite, li spese ugualmente in continua obbedienza e dipendenza dai Vescovi di Verona.
Fin che visse, giuridicamente e pubblicamente, davanti alla Chiesa e davanti allo Stato, fu sempre un sacerdote secolare, unito con alcuni compagni per attendere particolarmente ad un'opera determinata, ma senza limitazioni di fronte alla volontà del suo Vicario ed ai bisogni della diocesi.
Suo campo di azione fu sempre la città, ma in essa attese ad imprese svariate; e mediante la cura diretta del clero giovane ed anziano: da formare e da riformare, estese i benèfici effetti dell'opera sua a tutta la diocesi.
In campagna vi andò alle volte coi suoi giovani, quando si trattava di dare il via a qualche nuovo Oratorio. Non si hanno notizie di sue predicazioni rurali, tranne che per qualche raro caso.
In città rimase addetto alla chiesa della sua parrocchia natale - San Paolo in Campo Marzio - per dieci anni. Dopo la morte della madre (6 febbraio 1810) abbandonò la casa paterna e si trasferì in parrocchia di San Fermo Maggiore, presso la zia Rosa Ravelli sposata Scudellini. La zia gli fece da madre, e lo zio divenne suo procuratore generale per tutte le brighe e le controversie che dovette sostenere contro il padre, sia in quella occasione, sia nei tre anni che il padre ancora visse.
I Superiori ecclesiastici sanzionarono quel suo trasferimento e lo assegnarono alla chiesa della sua nuova parrocchia a datare dal 1° aprile 1810.
Anche là divenne promotore di un Oratorio giovanile, sia pure con le cautele imposte dall'opposizione giacobina dei francesi. La casa della zia divenne luogo di ritrovo per ecclesiastici studiosi, che sotto la direzione di Don Gaspare si dedicavano ai vari rami della cultura (lettere - filosofia), ma più specialmente allo studio della Somma di San Tommaso e della Morale di S. Alfonso. Quest'ultima era allora nuova, ed invisa ai vecchi, e fu appunto quella piccola accolta di sacerdoti che la rese nota in Verona e l'applicò alla vita quotidiana dei fedeli.
Dal 1809 il Bertoni era stato posto a capo del gruppo di sacerdoti che si adunavano a S. Nicolò per la soluzione dei casi teologici. Ed appunto in questo suo ufficio di "Teologo definitore" ebbe molto da lottare e da soffrire per propugnare la sana dottrina della Chiesa e per reprimere il giansenismo.
Una volta, aggredito per via con violentissime ingiurie, si fece tanta forza per contenersi, che cadde a terra svenuto.
Non contento di averlo posto a capo di un gruppo particolare del clero cittadino, il vescovo Mons. Liruti lo volle nel Seminario per il bene di tutti.
In due anni di governo diocesano aveva potuto conoscerlo personalmente, e non esitò a dargli quella nuova prova di stima. Al Seminario il Bertoni ebbe l'incarico di Padre Spirituale, con l'obbligo di predicare ai chierici la meditazione tutte le domeniche e gli altri giorni festivi; di predicare i ritiri mensili ed i frequenti corsi di esercizi spirituali. Non vi ebbe la residenza, né l'ufficio di Confessore ordinario, ma si capice che molti ricorrevano a lui anche per la confessione.
Nello stesso tempo che adempiva questi impegni nel Seminario, ebbe degli incarichi al tutto simili da parte dei Canonici della Cattedrale, che avevano un loro proprio collegio di studenti ecclesiastici, distinto dal Seminario, detto "Collegio degli Accoliti".
Questi impieghi durarono due interi anni scolastici: dal novembre 1810 all'agosto 1812. Il copioso materiale manoscritto che è rimasto attesta l'intensità del lavoro svolto dal predicatore.
Quando da parte del Vescovo e degli altri Superiori si volle fare un passo avanti e promuoverlo Vicerettore del Seminario, Don Gaspare venne a trovarsi in una grandissima angustia di spirito. L'ufficio fino allora esercitato e le aderenze che ne erano nate erano d'indole affatto opposta al carico che ora gli si voleva addossare; per di più, secondo che egli lasciò scritto confidenzialmente, quell'ufficio era cosa "aliena dalla sua vocazione".
Dio pensò a disincagliarlo da quella secca. Una grave malattia avuta nell'ottobre 1812 e una ricaduta non meno grave dell'agosto 1813 l'avevano lasciato così debole, che i Superiori, dopo aver fatta la proposta non poterono insistere. Del resto, nel Seminario, per Don Gaspare come Padre Spirituale si era aggiunto un nuovo, grave, delicatissimo lavoro a cui attendere.
Il Vescovo aveva radunati là parecchi sacerdoti fuorviati, che avevano aderito alle massime della rivoluzione, e ve li teneva come in prigione e correzione. Pregare, predicare e operare per il loro ravvedimento era un'opera ben ardua, che il Bertoni accettò volentieri, mentre non si sentiva di accettare la carica di Vicerettore.
Per attendere a tutti questi incarichi, a causa delle malattie sopravvenute, aveva dovuto gradualmente abbandonare l'assistenza al Ritiro Canossa, venendovi sostituito da qualcuno dei suoi più intimi, come Don Matteo Farinati. La Naudet, aveva insistentemente implorato presso i Superiori di essere assistita e diretta almeno lei col suo piccolo gruppo e ciò le fu concesso.
Ammirabili le lezioni di perfetto distacco e di conformità alla volontà di Dio, che il Bertoni seppe dare e vergare in quelle occasioni di contrasto.
Ma il Bertoni, come sacerdote secolare, non si occupò soltanto presso Istituti e istituzioni, attese anche intensamente alla predicazione al popolo. Il pulpito di San Fermo lo vide spesso in cotta e stola, mentre il popolo gremiva l'ampia navata.
Le vicine scuole di San Sebastiano (le sue antiche scuole) sentirono fruttuosamente i suoi ritiri pasquali.
Le prigioni e gli ospedali videro sovente la sua esile figura aggirarsi in quegli asili di dolore. Fin da chierico il Bertoni si era ascritto alla Pia Unione dei Fratelli Spedalieri.
Nelle prigioni avvenne un fatto clamoroso, appunto in quell'epoca: primi giorni di luglio del 1813, un mese prima che Don Gaspare ricadesse nella sua grave malattia. Un sacerdote: Angelo Allegri, ex religioso, apostata e matricida, era stato condannato a morte. Invece che pensare a convertirsi, ricaccia con violenza, minacce e bestemmie orribili, quanti andavano ad esortarlo per il suo bene. Voleva dannarsi nell'inferno, e nessuno si facesse più vedere. Lo scandalo era troppo grande, e le stesse autorità civili (che erano poi quelle napoleoniche) ne erano atterrite.
Come estremo rimedio, il Vicario Generale della Diocesi ricorse di sera tarda a Don Gaspare.
Il Venerabile passò una notte in orazione, ed al mattino presto, dopo aver celebrata la Messa per il povero infelice, si portò al carcere.
Al suo primo apparire quello si mostrò d'un subito mutato, e gli andò incontro esclamando: "Ecco il mio salvatore! Questo è quello che mi rimette in grazia di Dio".
Si confessò con molte lacrime e con grandi segni di pentimento, e le ore che sopravvisse furono ore di grazia. Fu giustiziato in Piazza Navona l'8 luglio 1813.