Capitolo III
GLI ORATORI MARIANI
Don Gaspare era sacerdote, ma per due anni ancora continuò a fare la vita dello studente. Non più le aule scolastiche del Seminario, ma le biblioteche e la sua cameretta lo videro sempre curvo sui libri.
Era stato assegnato alla sua parrocchia natale, ma essendovi già 13 sacerdoti, per lui novellino vi era poco da fare, ed i libri continuarono ad essere i suoi inseparabili amici. Durante i quattro anni di teologia aveva studiato la Somma di San Tommaso come ben pochi altri potrebbero dire di averlo fatto; ora vi aggiungeva lo studio dei Padri nelle opere originali; lo studio della Sacra Scrittura con le interpretazioni dei commentatori; e di suo particolare iniziò una lunghissima raccolta (2000 pagine in ottavo grande) di testi riguardanti la storia e la dottrina del papato. La raccolta ancora esiste, nitida ed ordinatissima, ma non vide mai la luce per mezzo della stampa. E questa non è l'unica testimonianza della applicazione agli studi da parte del Bertoni. Egli li curò sempre e vi attese intensamente fino sul letto delle sue agonie; esempio e stimolo anche in questo per i membri della Congregazione da lui fondata. Una caratteristica di essa deve essere infatti una intensa e diuturna dedizione agli studi più vari. Cinque mesi dopo la sua ordinazione Don Gaspare vide la sua città divisa fra due governi opposti e nemici. Le truppe della rivoluzione, riprese le armi, avevano spostati i confini della loro Repubblica dal Mincio all'Adige (Pace di Luneville del 9 febbraio 1801).
La conservatrice Austria s'industriava di resistere, ma la marea premeva e lei era costretta a retrocedere passo, passo.
Verona divisa a quel modo fu governata e sgovernata per cinque anni (1801 - 1805) e le sue acque sociali si intorbidarono molto più di quelle dell'Adige su cui si specchiava.
Le parrocchie di San Giorgio, Santo Stefano, San Nazaro, San Tommaso e San Paolo in Campo Marzio, poste sulla sinistra del fiume, avrebbero voluto stringersi fra loro e premunirsi contro la corruzione e lo strazio della gioventù che si veniva perpetrando sull'altra sponda. Nonostante la sonnolenza e la languidezza generale in cui fino allora tutti erano vissuti, noi crediamo che fossero non poche le anime sacerdotali che si sentirono opprimere e sbarrarono gli occhi di fronte al nemico venuto a piantarsi stabilmente in casa e deciso, nonché a retrocedere, a procedere sempre più avanti.
La Provvidenza concesse quei cinque anni di dilazione, e, intanto pensò Lei stessa a preparare i mezzi di salvezza.
Nel 1799 due anime grandi: la Beata Canossa e Don Pietro Leonardi avevano dato inizio a due opere pie in forma di centro di raccolta e di istituti religiosi per le fanciulle e per i fanciulli più miseri e abbandonati. Nei decenni seguenti molte altre opere del genere sarebbero sorte in Verona; Don Gaspare Bertoni era destinato dalla Provvidenza a fornire alla Diocesi un'opera più generale e più vasta, che lasciando la gioventù nelle proprie case e nelle officine, la seguisse tuttavia, la educasse e la salvasse, premunendola con una soda formazione religiosa e morale, con una organizzazione agile ed aggiornata.
Mentre tanto assiduamente continuava ad attendere agli studi, l'unzione del sacro crisma compenetrava tutto il suo essere: fisico e spirituale; santificava ed elevava tutte le sue doti: naturali ed acquisite; e quando la voce di Dio si fece sentire egli si trovò pronto. E la voce di Dio si fece sentire così.
Don Gaspare, tutto devoto e raccolto, se ne stava un giorno del maggio-giugno 1802 inginocchiato nella tribuna della chiesa parrocchiale. Aveva indosso la cotta e la stola lì accanto, pronto per distribuire la Santa Comunione a chi lo avesse richiesto. Il suo arciprete Don Girardi lo mirò, poi avvicinandosi gli disse: “Oh il mio don Gaspare! mi avete l'aria di un missionario. Ma intendetemi bene: missionario di fanciulli”.
Erano dodici anni ormai che se lo vedeva sotto gli occhi: da quando era diventato parroco di San Paolo.
L’aveva visto crescere sempre buono, sempre migliore; era stato lui ad avviarlo decisamente sulla via del sacerdozio. Familiarmente osava nominarlo «il mio San Luigi» ed ora, certo per ispirazione divina, lo avviava su quella strada che doveva essere la definitiva indicazione del volere divino a suo riguardo. Don Gaspare doveva diventare un maestro dei giovani, per farne altrettanti san Luigi come aveva dimostrato di esserlo lui stesso: la sua lunga maturazione doveva figliare frutti degni di se stessa.
"Ho alcuni bambini, disse don Girardi, da ammettere alla prima Comunione. Quando ve li avrò ammessi, li affiderò a voi, perché li custodiate, e voi li riguarderete come vostri".
Don Gaspare riconobbe la voce di Dio in quella del suo Superiore. Essere eletto a custodire le anime più tenere, appena abbracciate da Gesù nascosto nel suo mistero di amore; dover custodire in esse l'innocenza, accompagnarle per introdurle nella vita: ecco la missione che avrebbe dovuto riempire tutta la sua vita. Qualche anno più tardi la Provvidenza avrebbe fatta qualche altra aggiunta, avrebbe data ancora qualche determinazione, ma quella della cura della gioventù era per il Bertoni la vocazione segnata nei decreti divini.
Sull'altra sponda dell’Adige l'uomo nemico e i suoi seminatori di zizzania si davano un gran da fare; ma anche la buona semente avrebbe avuto i suoi portatori e i suoi diffonditori. Quasi dal nulla, il 20 giugno 1802 ebbero inizio in Verona gli Oratori Mariani. Sette od otto ragazzi, sui dodici-tredici anni, furono i primi tesori di don Gaspare, che li radunò dapprima in canonica, in una stanza a pianterreno. Dopo qualche mese, quando il loro numero era già cresciuto e il loro chiasso estivo disturbava troppo la quiete e il raccoglimento dei sacerdoti, dovettero sloggiare dalla canonica e trasportarsi sotto una tettoia male riparata. E non solo dovettero sloggiare dalla casa canonica, dovettero sloggiare anche dalla chiesa parrocchiale, perché il loro numero sempre più imponente e le loro esigenze particolari richiedevano una chiesa tutta per loro. Andarono prima (ma solo dopo molte insistenze) nella chiesa delle Terziarie Minime di San Francesco di Paola; poi passarono nella chiesa di San Giacomo di Galizia, sempre dentro i confini della parrocchia. Non possiamo qui minimamente, stendere la storia di questa grande opera. Si legga nella vita del Bertoni quanto ne scrivono i biografi, e poi si sentirà ancora il desiderio e il bisogno di uno studio e di una storia particolare. Noi ci dobbiamo limitare a dare alcuni schemi, e a fare alcune osservazioni. L'idea degli Oratori Mariani come furono realizzati dal Bertoni, era stata lanciata in Verona qualche anno prima (1799) dal grande predicatore Luigi Pacifico Pacetti, marchigiano, personaggio eminente allora, col quale Don Gaspare rimase in relazione (e spesso anche cooperò) per una ventina di anni. Non è meraviglia che il Bertoni, ancora chierico, entrasse di slancio nella scia luminosa suscitata da quel grande ministro di Dio, e che una volta entrato vi si mantenesse costantemente, portandosi avanti con propri sviluppi. Iddio che l'aveva colmato di tante e tante belle virtù sacerdotali, lo fornì anche di grande intuito per capire l'indole del suo tempo e il miglior modo di adattarsi ad esso.
Noi vogliamo fare notare la differenza dei quattro nomi seguenti, con lo sviluppo che essi contengono, della medesima idea.
1) - CONGREGAZIONE MARIANA. Indicava una associazione giovanile, molto simile alle Confraternite riservate agli adulti, sia pure con pratiche, devozioni e istruzioni adatte ai ragazzi e alle ragazze. Così era praticata nel 1700 e prima, specialmente per opera dei gesuiti. I doveri e le pratiche importavano impegni a lungo ciclo di tempo.
2) - ORATORIO MARIANO. Nella nuova concezione puntava dritto sulla santificazione della festa (3° comandamento), con un impegno settimanale, mediante il quale giungere alla educazione e alla formazione cristiana.
Grande importanza perciò per l'istruzione religiosa specializzata, tenendo divisi i ragazzi secondo le età. Vita comune per tutta la mattina della domenica, in modo da raccogliere tutti i frutti della mutua edificazione.
3) - RICREATORIO MARIANO. Divenne subito la parte complementare della mattinata della domenica, e venne praticato nel pomeriggio della stessa domenica e un po' (appendici) anche nelle serate degli altri giorni della settimana. Nel pomeriggio della domenica si impartiva ancora un po' di istruzione riservata ai ragazzi. Si partecipava in coro alla funzione principale della parrocchia, e poi, sempre assieme, ci si portava ai luoghi del divertimento, per insegnare anche là il modo e la misura di santificare la festa e se stessi anche nel divertimento.
La vita di massa, chiaramente discriminata e strettamente associata, obbligava tutta quella gioventù ad accogliere i germi e ad accelerare i primi sviluppi della vita civile e sociale.
Complemento del Ricreatorio Mariano domenicale erano le scuole serali, la scuola di musica, le conferenze per i più grandi, le mostre artigiane.
4) - COORTE MARIANA. Poiché si trattava di ragazzi maschi, non poteva mancare una terminologia e una gerarchia militare, specialmente in tempi guerreschi come quelli. L'uomo, sentendosi chiamare soldato, sente in questa parola l'affermazione più potente della sua personalità; in essa egli sublima tutte le sue qualità migliori. Che così spesso si abusi di questo fatto psicologico, non prova niente altro che la sua fondamentale e radicale importanza.
I giovani sentono l'urgenza e il bisogno di affermarsi, e con grande impeto danno tutto quello che possiedono. Don Bertoni intuì subito tutto questo, e ricorse alla terminologia militare romana che, essendo lontana nel tempo, attutiva per ciò stesso i pericoli di abuso da parte dei giovani e voleva evitare gli adombramenti e i sospetti da parte delle autorità. D'altra parte, stando essa alle radici della nostra storia, era forte incentivo per tutte le virtù civili.
La Coorte era sempre insita nell'Oratorio-Ricreatorio, ma emergeva e risaltava nelle occasioni di trasloco, passeggiate, e specialmente quando si andava in campagna per fondare nuovi Oratori mariani.
In quei casi aveva un doppio valore: pratico e dimostrativo, con grande fascino per chi l'ammirava per la prima volta. E il fascino, si sa, è una grande molla, specialmente fra i giovani.
Tutti quattro questi termini, che abbiamo brevemente analizzato, sono qualificati con l'aggettivo «mariano».
Trattandosi di giovani, di una umanità incipiente, il nome della Madre è di stretto obbligo anche nel campo della formazione morale e religiosa, come è di stretta necessità nel campo naturale della vita fisica.
Don Bertoni raccolse subito intorno a sé, come aiutanti e sostituti, altri sacerdoti e chierici: Don Matteo Farinati, Don Gaetano Allegri, Don Giovanni Maria Marani e altri ancora. In loro compagnia ebbe tre anni di tempo (1802 - 1805) di relativa quiete e libertà, sotto il governo austriaco, e poté moltiplicare e sviluppare le sue organizzazioni. Poi, per due anni, lottò acerbamente contro il governo giacobino dei francesi, per salvare le sue creature dagli artigli di quell'aquila rapace.
In fine, il 26 maggio 1807, un decreto imperiale di Napoleone, che segnava la morte ufficiale di tantissime organizzazioni religiose, seppellì anche quelle giovanili, che da così poco tempo erano sorte.
Ma non fu una morte, una distruzione: fu una seminagione. Dopo una lunga invernata durata sette anni, alla caduta del despota, gli Oratori mariani veronesi si ritrovarono più freschi, più numerosi e più vitali di prima. La loro operosità crebbe e si sviluppò, nonostante che il clima della reazione fosse anch'esso poco favorevole, e, per certe cose, perfino più opprimente di quello della rivoluzione.
Accanto agli Oratori maschili sorsero quelli femminili, e tutta la diocesi ne fu ripiena. Essi furono la salvezza di quelle popolazioni al tempo del liberalismo e dell'agnosticismo nostrano. Lo attestava alla fine del secolo scorso il Card. Luigi di Canossa, il quale da giovanissimo era stato anche lui oratoriano, ed essendo Vescovo di Verona da più di trent'anni, poteva parlare con piena cognizione di causa.
La caratteristica bertoniana costituita dalla organizzazione in “Coorte Mariana” con l'andare del tempo fu trascurata. I tempi si erano imborghesiti e si imborghesirono anche le forme. Ma poi si tornò a sentirne il bisogno. Pur essendo un elemento legato ai tempi, è una cosa infatti che ha fondamento nella natura dell'uomo.
Da alcune decine di anni (1908) è venuta in voga l'organizzazione dei giovani esploratori. Essendo di origine inglese e protestantica ha potuto sì, essere da noi assimilata e corretta, ma pure sembra insanabilmente inquinata di naturalismo e di agnosticismo.
Quanto più pura, quanto schiettamente cattolica l'organizzazione inaugurata dal Bertoni!
Ai nostri tempi ci sono altre organizzazioni cattoliche, che ripetono e amplificano l'idea della "Coorte Mariana": sono per esempio la «Legio Mariæ», la «Milizia dell'Immacolata».
La Madonna Santissima sarà sempre ispiratrice di idee grandi, forti e belle; e le idee grandi, forti e belle saranno sempre il pane di cui la gioventù sarà in ogni tempo più avida.
San Giovanni Bosco fu anche lui gran cavaliere della Madonna (più recentemente c'è stato il P. Massimiliano Kölbe, minore conventuale, polacco) e data la grande notorietà e la grande diffusione raggiunta dalle sue opere e dalle sue istituzioni, viene comunemente ritenuto il fondatore degli Oratori Mariani. Le date della storia però ci dicono chiaramente come il Bertoni iniziò l'opera sua tredici anni prima che Don Bosco nascesse; e quando Don Bosco nasceva ai Becchi (1815) gli Oratori Mariani a Verona uscivano vittoriosi dalla lunga prova dell'oppressione napoleonica. Dalla tettoia Girardi alla tettoia Pinardi (Pasqua 12 aprile 1846) passarono quarantaquattro anni: una intera vita di lavoro: un ciclo storico. Nessuna interdipendenza dunque fra le due istituzioni, sebbene molto simili.
Don Bertoni istituì l'opera sua quando era un giovane sacerdote secolare, e l'istituì in funzione parrocchiale e diocesana, e su questa linea sempre la mantenne; dando allo stesso Istituto Religioso da lui fondato un indirizzo simile, e ciò per chiara ispirazione divina.
Don Bosco fece dell'Oratorio l'opera del suo Istituto, e dando larghissimo sviluppo alle scuole professionali e artigiane, quasi lo immedesimò con esso.
Don Bertoni assistette anche lui gli artigiani mediante l'Oratorio ma nel campo scolastico sviluppò l'indirizzo classico, e perciò stesso riuscì meno popolare. Del resto, di queste cose non bisogna ragionare in modo troppo umano: le variazioni e le differenze dipendono dallo Spirito di Dio, che si fa sentire anche con le differenze dei luoghi e dei tempi.
Un secolo e mezzo fa Verona e Torino erano molto più lontane di quanto lo siano adesso, anche se geograficamente si trovano ancora allo stesso posto. Verona, già parte della Repubblica Veneta, dopo l'epoca napoleonica passò nella zona di influenza austriaca, con clima rigorosamente conservatore, geloso contro chiunque, compresi il Papa e la Santa Sede.
Don Bertoni, fin che visse, dovette respirare quell'aria e barcamenarsi in quelle acque, più tedesche che italiane.
Don Bosco nacque nel piccolo Piemonte schiettamente italiano, e quando giunto al sacerdozio (1839) si affacciò sul campo del lavoro, da Torino partivano audacemente le fanfare della unità italiana. Era il nuovo ciclo di storia che si apriva, in un mondo diverso da quello in cui era vissuto il Bertoni, e la Provvidenza diede a Don Bosco direttive diverse.
Anche le manifestazioni taumaturgiche di sogni e rivelazioni sono quanto di più opposto si possa immaginare, se vengono messe a confronto con la vita di Don Gaspare. Di Don Bosco si seppe tutto, si scrisse tutto, anche in anticipo; perfino quello che deve avvenire ancora adesso, fu da lui predetto e dagli altri scritto.
Da Don Gaspare non si seppe mai niente; anche con gli amici e cooperatori più intimi "fu sempre ritenutissimo circa le cose sue" (Marani).
Rivelazioni e lumi speciali ne ebbe lui pure, ma dovevano servire a lui solo, perciò non ne lasciò trapelare altro che qualche vago indizio.
Queste differenze intime dei due Santi, assommate alle differenze di tempo e di luogo, spiegano a sufficienza le differenze delle loro opere.